Ricorso della provincia autonoma di  Trento  (codice  fiscale  n.
00337460224), in persona del Presidente della Giunta provinciale  pro
tempore  dott.  Ugo  Rossi,   previa   deliberazione   della   Giunta
provinciale 22 febbraio 2016, n.  201  (documento1)  rappresentata  e
difesa, come da procura speciale rep. n. 28216 del 23  febbraio  2016
(documento  2),  rogata  dal  dott.  Guido  Baldessarelli,  ufficiale
rogante della provincia, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon  (codice
fiscale        FLCGDM45C06L736E)        di        Padova         (PEC
giandomenico.falcon@ordineavvicatipadova.it),    dall'avv.    Nicolo'
Pedrazzoli (codice fiscale  PDRNCL56R01G428C)  dell'Avvocatura  della
provincia di Trento, nonche' dall'avv. Luigi  Manzi  (codice  fiscale
MNZLGU34E15H501Y) di Roma, con domicilio eletto  presso  quest'ultimo
in via Confalonieri  n.  5  -  Roma,  telefax  per  le  comunicazioni
06/3211370, contro il Presidente del Consiglio dei  ministri  per  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 (e unico),
in relazione ai seguenti commi: 
        comma 219; comma 236; comma 469, secondo periodo (e correlato
comma 470); comma 505; comma 510, comma 512, comma 515, comma 516  (e
correlato comma 517), comma 541; comma 542;  comma  543;  comma  544;
comma 548, comma 549; comma 574; comma 672; comma  675  (e  correlato
comma 676); comma 680, quarto periodo; comma 709; comma 711,  secondo
periodo; comma 723, lettera a), terzo periodo; comma 730; 
        della legge 28 dicembre 2015, n. 208,  recante  «Disposizioni
per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale  dello  Stato
(legge di stabilita' 2016)», pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  n.
302 del 30 dicembre 2015, supplemento ordinario n. 70/L. 
    Per violazione: 
    degli articoli 79, 103, 104 e  107  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (statuto  speciale),  nonche'
delle correlative norme di attuazione; 
    del titolo  VI  dello  statuto  speciale,  in  particolare  degli
articoli 79, 80 e 81; e delle relative norme di  attuazione  (decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in particolare articoli 17,  18  e
19); 
    dell'art. 8, con particolare riferimento al n. 1),  dell'art.  9,
con particolare riferimento al n. 10),  nonche'  dell'art.  16  dello
statuto speciale e delle relative norme di  attuazione  (decreto  del
Presidente della Repubblica 28 marzo 1975,  n.  474,  in  particolare
art. 2); 
    degli articoli 87 e 88 dello statuto  speciale  (nonche'  decreto
del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305); 
    del decreto legislativo 16 marzo 1992,  n.  266,  in  particolare
articoli 2 e 4; 
    dell'art. 117,  secondo,  terzo,  quarto  comma  e  sesto  comma,
dell'art. 118 e dell'art. 119, in combinato disposto  con  l'art.  10
della legge costituzionale 18  ottobre  2001,  n.  3,  nonche'  degli
articoli 3, 5, 97 e dell'art. 136 della Costituzione; 
    dell'art. 27 della legge n. 42 del 2009; 
    del principio di leale collaborazione anche in relazione all'art.
120 della Costituzione; 
    del principio consensualistico, anche con riferimento all'accordo
con il Governo sottoscritto  il  15  ottobre  2014,  approvato  dalla
provincia autonoma di Trento con delibera  n.  1790  del  20  ottobre
2014. 
 
                           Fatto e diritto 
 
    Il presente ricorso e' diretto contro diverse disposizioni  della
legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (legge  di
stabilita' 2016)». 
    Tale legge, composta di un unico articolo suddiviso in 999  commi
e di diversi allegati e tabelle, ha contenuto eterogeneo, e contenuto
eterogeneo hanno anche le diverse disposizioni qui impugnate. 
    E'  risultato  percio'  preferibile  evitare  una   illustrazione
generale in fatto,  e  trattare  invece  direttamente  delle  singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto. 
    Le censure sono esposte raggruppando le disposizioni impugnate in
tre «macrosezioni» in base alla materia nella quale  intervengono,  e
non seguendo l'ordine - esso stesso peraltro asistematico  -  seguito
dal legislatore. 
    In una  prima  sezione  si  affrontano  le  norme  specificamente
dirette ad  incidere  sulla  autonomia  finanziaria  della  provincia
autonoma (commi 680, quarto periodo, 709, 711, secondo  periodo  723,
lettera  a),  terzo  periodo,  730);  in  una  seconda  sezione  sono
censurate le norme  in  materia  di  organizzazione  e  di  personale
sanitario (commi 541, 542, 543, 544 e 574);  nella  terza  ed  ultima
sezione del ricorso sono propositi i motivi di impugnazione contro le
disposizioni che in vario modo incidono sulla autonomia organizzativa
o di spesa della provincia autonoma (commi  219;  236;  469,  secondo
periodo e correlato comma 470; 505; 510, 512 e correlati  commi  515,
516 e 517; 548 e correlato comma 549; 574; 672; 675 e correlato comma
676). 
    SEZIONE I. Illegittimita' costituzionale dei  commi  680,  quarto
periodo, 709, 711, secondo periodo 723, lettera  a),  terzo  periodo,
730, incidenti sulla autonomia finanziaria della  provincia  autonoma
di Trento. 
    In questa sezione sono compendiati i motivi di ricorso proposti -
partitamente - contro i diversi commi che sotto vari  profili  ledono
l'autonomia finanziaria della provincia autonoma ricorrente. 
    I.1. Illegittimita' costituzionale del comma 680, quarto periodo,
per violazione degli articoli 104 e 107 dello statuto, del  principio
del principio consensualistico, anche con riferimento all'accordo con
il Governo sottoscritto il 15 ottobre 2014, approvato dalla provincia
autonoma di  Trento  con  delibera  n.  1790  del  20  ottobre  2014,
dell'art. 27, legge n. 42 del 2009, nonche' dell'art. 3 Cost., ove la
sua applicazione non si dovesse intendere esclusa dal quinto  periodo
per le parti incompatibili con gli accordi stipulati. 
    Il comma 680 regola il contributo  alla  finanza  pubblica  delle
regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. 
    Il primo periodo della  disposizione  fissa  tale  contributo  in
termini  globali  per  il  complesso   delle   autonomie   regionali,
stabilendolo in 3.980 milioni di euro per  l'anno  2017  e  in  5.480
milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019. Dati gli importi
globali, sempre secondo il primo periodo, i contributi delle  singole
autonomie dovrebbero essere stabiliti «in sede  di  autocoordinamento
dalle regioni e province autonome medesime, da  recepire  con  intesa
sancita dalla Conferenza permanente peri rapporti tra  lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano,  entro  il  31
gennaio di ciascun anno». 
    Il secondo periodo dispone per il caso che nei  termini  previsti
non raggiunga l'intesa. Provvede allora con decreto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei
ministri. Con tale decreto  i  diversi  importi  «sono  assegnati  ad
ambiti di  spesa  ed  attribuiti  alle  singole  regioni  e  province
autonome, tenendo anche conto della popolazione residente e del  PIL,
e  sono  rideterminati  i  livelli  di  finanziamento  degli   ambiti
individuati e le modalita' di acquisizione  delle  risorse  da  parte
dello Stato, considerando anche le risorse destinate al finanziamento
corrente del Servizio sanitario azionale». 
    Il  terzo  periodo  riguarda  le  sole  autonomie   speciali,   e
stabilisce il principio secondo il quale «fermo restando il  concorso
complessivo di cui  al  primo  periodo,  il  contributo  di  ciascuna
autonomia speciale e' determinato previa intesa  con  ciascuna  delle
stesse».  Dunque,  le  autonomie  speciali  da  un  lato  partecipano
all'autocoordinamento  generale  previsto  dal  primo   periodo,   ma
dall'altro concordano la propria quota con lo Stato. 
    Il  quarto  periodo  si  riferisce  di  nuovo  all'insieme  delle
autonomie regionali («le regioni e le province autonome di  Trento  e
di Bolzano»). Esso prevede che esse assicurino «il finanziamento  dei
livelli essenziali di assistenza come eventualmente rideterminato  ai
sensi del presente comma e dei  commi  da  681  a  684  del  presente
articolo e dell'art. 1, commi da 400 a 417, della legge  23  dicembre
2014, n. 190». 
    Il quinto periodo contiene una disposizione finale, riferita alla
sola regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e alle province autonome di
Trento  e  di  Bolzano,  e  dispone  che   in   relazione   ad   esse
«l'applicazione del presente comma avviene nel rispetto  dell'Accordo
sottoscritto tra il Governo e i predetti  enti  in  data  15  ottobre
2014, e recepito con legge 23 dicembre 2014, n. 190, con il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica previsto dai commi da  406  a  413
dell'art. 1 della medesima legge». 
    Il complesso di tali disposizioni  puo'  essere  inteso  -  e  la
ricorrente provincia auspica che sia inteso -  in  senso  non  lesivo
delle proprie attribuzioni  e  delle  regole  che  governano  i  suoi
rapporti finanziari con lo Stato. In particolare, la disposizione del
quinto periodo costituisce norma di chiusura del comma,  prescrivendo
che la sua applicazione avvenga nel  rispetto  dell'accordo  da  essa
sottoscritto con il Governo in data 15 ottobre 2014. Non  solo,  esso
specifica che il proprio concorso agli obiettivi di  fmanza  pubblica
va inteso nei termini di  quanto  previsto  (in  attuazione  di  tale
accordo) dai commi da 406 a 413 dell'art. 1 della legge  n.  190  del
2014, in questo senso «correggendo» il piu' esteso riferimento ai  da
400 a 417 contenuto nel quarto periodo. 
    Anche la relazione tecnica presentata al  Senato  (reperibile  al
sito   www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/testi/46327_testi.htm)
sottolinea che l'introduzione del quinto periodo e'  «finalizzata  ad
escludere i predetti  enti  ad  autonomia  differenziata»,  cioe'  la
regione Trentino-Alto Adige e le due province autonome, «dal  riparto
del concorso alla finanza pubblica da parte  delle  regioni  per  gli
anni 2017-2019». 
    Tuttavia,  il  quarto  periodo,  che  non  e'  stato   modificato
corrispondentemente  all'introduzione  del  quinto,  ancora  menziona
anche le province  autonome.  La  ricorrente  provincia  deve  dunque
impugnare in via cautelativa la disposizione del quarto periodo,  per
l'ipotesi che la menzione delle province autonome in  essa  contenuta
non dovesse essere intesa come un difetto  di  coordinamento  con  il
quinto, fermo restando che in ogni caso  il  quarto  periodo  non  e'
applicabile in contrasto con quanto disposto dal quinto periodo. 
    Conviene ora  mettere  in  rilievo,  nella  denegata  ipotesi  di
applicazione alle province autonome del quarto  periodo  anche  nelle
parti incompatibili con l'accordo richiamato  al  quinto  periodo,  a
quali disposizioni ci si riferisce. 
    In effetti, mentre il quarto  periodo  riferisce  alle  autonomie
speciali l'applicazione dei commi da 400  a  417  dell'art.  1  della
legge n. 190 del 2014, il quinto periodo limita  l'applicazione  alle
province autonome ai commi da 406 a 413. 
    Risultano invece incompatibili con  il  quadro  statutario,  come
definito dall'accordo e in attuazione dell'accordo, in primo luogo il
rinvio ai commi 400 e 404, che prevedono per il  2018  un  contributo
aggiuntivo di 21 milioni di euro a carico della provincia autonoma di
Trento e di 25 milioni di euro a carico di quella di  Bolzano  (comma
400), con il correlativo obbligo di versarlo  all'erario,  in  attesa
dell'emanazione delle apposite norme di attuazione previste dall'art.
27 della legge 5  maggio  2009,  n.  42,  recante  legge  delega  sul
«federalismo fiscale» (comma 404). Incompatibile con lo stesso quadro
appare altresi' il rinvio ai commi 415 e 416 della predetta legge  di
stabilita' n. 190 del 2014,  che  estendono  all'annualita'  2018  la
disciplina gia' vigente contenuta nelle leggi di  stabilita'  per  il
2013 e per il 2014,  relativa  all'obiettivo  da  concordare  per  il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte delle  autonomie
speciali (commi 454 e 455 dell'art. 1 della legge 24  dicembre  2012,
n. 228, come modificati dal comma 415 dell'art. 1 della legge n.  190
del 2014; comma 526 dell'art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147,
come modificato dal comma 416 dell'art. 1  della  legge  n.  190  del
2014). 
    Infine, e'  anche  costituzionalmente  illegittimo  il  richiamo,
operato ancora dal quarto  periodo  del  comma  680,  del  comma  417
dell'articolo della legge n. 190 del 201, che prevede la facolta'  di
modificare mediante un apposito  accordo,  da  sancire  entro  il  31
gennaio di  ciascun  anno  in  sede  di  Conferenza  Stato-regioni  e
recepire in seguito con un apposito decreto ministeriale, gli importi
del contributo aggiuntivo in questione (indicati nella tabella di cui
al  comma  400)  rispettivamente  dovuti  dalle   singole   autonomie
speciali, con invarianza di concorso complessivo. 
    Tutti tali disposti non sono stati concordati ai sensi  dell'art.
104 dello statuto speciale (comma 406 dell'art. 1 della legge n.  190
del 2014), e si collocano esplicitamente  al  di  fuori  dell'accordo
concluso tra lo Stato e le province autonome nel 2014, che disciplina
i rapporti finanziari tra  i  predetti  enti  anche  con  riferimento
all'anno  2018  ed  in  modo  dichiaratamente  esaustivo   (vedi   in
particolare i punti 12, 5 e 9). Occorre anche ricordare che l'accordo
contiene esso stesso una clausola che autorizza lo Stato ad  invocare
entro limiti predefiniti nuovi bisogni in relazioni a  possibili  (ma
non  verificate)  eccezionali  situazioni  di  crisi  della   finanza
pubblica (cfr. punto 14 Accordo). 
    Il richiamo ai commi sopra indicati e' dunque  costituzionalmente
illegittimo  per  violazione  del  principio  consensualistico.  Tale
principio,  fondato  su  una  pluralita'  di  regole  previste  dallo
statuto, tra le quali la procedura concordata per la revisione  delle
regole del titolo IV (art. 104, primo comma) e la procedura prevista,
per le norme di attuazione (art. 107), e' pienamente affermato  nella
legislazione  statale,  in  particolare  nell'art.  27  della   legge
basilare n. 42 del  2009,  e  riconosciuto  dalla  giurisprudenza  di
codesta ecc.ma Corte costituzionale: si vedano, tra le piu' recenti e
rilevanti, le sentenze nn. 19 e 155 del 2015. 
    Inoltre, a fronte degli impegni assunti dallo Stato, la provincia
autonoma di Trento - come ben  noto  a  codesta  ecc.ma  Corte  -  ha
accettato (punto 15 Accordo) di  rinunciare  a  tutti  i  contenziosi
pendenti  relativi  alla  legittimita'  costituzionale  di   numerose
disposizioni di legge concernenti i rapporti finanziari tra la stessa
provincia autonoma e lo Stato. Anche in relazione a  questa  rinuncia
essa ha maturato  un  legittimo  affidamento  al  mantenimento  degli
impegni anche da parte statale e  in  generale  alla  stabilita'  dei
rapporti finanziari definiti  dall'accordo.  La  violazione  di  tale
affidamento si traduce in lesione dell'art. 3 Cost. e  del  principio
di ragionevolezza. 
    Vale la pena di notare che a  tali  considerazioni  non  potrebbe
essere opposto che i commi 400, 404, 415, 416 e 417 dell'art. 1 della
legge n. 190 del 2014 non sono stati  a  suo  tempo  impugnati  dalla
provincia autonoma di Trento. 
    A fronte dell'accordo appena concluso, e alla rinuncia alle cause
in corso, sarebbe  stato  paradossale  introdurre  immediatamente  un
nuovo ricorso. Seguendo il  principio  di  leale  collaborazione,  la
provincia  ha  preferito  segnalare  al   Governo   le   incongruenze
riscontrate, chiedendo formalmente al Governo la modifica delle norme
contestate (nota 18 febbraio 2015, prot. n. 92532, allegato documento
3). E il quinto periodo del comma 680 dell'art. 1 della legge n.  208
del 2015 rappresenta proprio il soddisfacimento  della  richiesta  di
riportare i rapporti finanziari tra lo Stato e le province autonome a
quanto stabilito dall'accordo. 
    Anche questo elemento, dunque, rafforza l'interpretazione lineare
del quinto periodo, nel senso che esso viene a correggere quanto,  in
sua assenza, sarebbe stato - ad  avviso  della  ricorrente  provincia
illegittimamente - disposto dal quarto periodo. 
    I.2. Illegittimita' costituzionale del comma 709, del comma  711,
secondo periodo, del comma 723, lettera a), terzo periodo e del comma
730. 
    I commi  709,  711,  secondo  periodo,  723,  lettera  a),  terzo
periodo, e 730 fanno parte di un gruppo di disposizioni che, posto il
passaggio dal metodo del patto di stabilita' a quello dell'equilibrio
di bilancio, operato dal comma 707, stabiliscono le regole del  nuovo
sistema, anche in attuazione dell'art. 9 della legge n. 243 del 2012. 
    La  ricorrente  provincia  ovviamente  non  contesta,  sul  piano
generale, tale passaggio; essa tuttavia non  puo'  non  rilevare  che
talune disposizioni presentano  diversi  aspetti  di  dissonanza  dal
quadro  statutario,  quale  concordato  con  lo  Stato.  Ad  esse  si
riferisce la presente impugnazione, nei termini che seguono. 
        I.2.1. Illegittimita' costituzionale del comma 709 in  quanto
definisce un insieme indistinto di  norme  specifiche  e  dettagliate
quali  «principi  fondamentali   di   coordinamento   della   finanza
pubblica», pretendendo di vincolare ad esse - e non ai soli  principi
che se ne possano dedurre, in quanto compatibili  con  lo  statuto  -
l'azione e la legislazione della ricorrente provincia. 
    Il comma 709 dispone  che  «ai  fini  della  tutela,  dell'unita'
economica della Repubblica, gli enti di cui al comma  1  dell'art.  9
della legge 24 dicembre 2012, n. 243, concorrono  alla  realizzazione
degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto  delle  disposizioni
di cui ai commi da 707 a 734 del presente articolo, che costituiscono
principi fondamentali di coordinamento  della  finanza  pubblica,  ai
sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119,  secondo  comma,  della
Costituzione». 
    Gli enti di cui al comma 1 dell'art. 9 della  legge  n.  243  del
2012 comprendono - come e' noto - le regioni, le province autonome ed
i  Comuni.  Anche  tali  disposizioni,  dunque,   includono   tra   i
destinatari le province autonome. Il loro oggetto e' costituito, come
testualmente enunciato dalla disposizione, dalla «realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica», attraverso «principi di coordinamento
della finanza pubblica». 
    Ad  avviso  della  ricorrente   provincia   il   comma   709   e'
costituzionalmente illegittimo in quanto, qualificando come  principi
fondamentali  di   coordinamento   della   finanza   pubblica   anche
disposizioni specifiche e dettagliate, intende porre ad essa  vincoli
ulteriori rispetto a quelli previsti dallo statuto. 
    Si consideri, infatti, che i richiamati commi da 707 a 734  hanno
per lo piu' contenuti specifici ed estremamente  dettagliati.  Alcuni
non riguardano neppure il sistema  delle  autonomie  territoriali:  i
commi 717 e 718,  ad  esempio,  contengono  disposizioni  concernenti
l'INAIL in relazione a finalita' genericamente connesse  all'edilizia
scolastica, tra le quali l'autorizzazione ad  assumere  «un  apposito
contingente  di  venti  unita'  di  personale  delle  amministrazioni
pubbliche».  E   ovviamente   non   costituisce   un   principio   di
coordinamento della finanza pubblica la disciplina, posta  dal  comma
727,  di  nuove  sanzioni  da  irrogare  da  parte   delle   «sezioni
giurisdizionali della Corte dei conti» in relazione a fattispecie pur
ambiguamente definite. 
    In pratica, la disposizione che risulta innegabilmente espressiva
di un principio appare il comma 710, secondo il quale  «ai  fini  del
concorso al contenimento dei saldi di finanza pubblica, gli  enti  di
cui al comma 709 devono conseguire un saldo non negativo, in  termini
di competenza,  tra  le  entrate  finali  e  le  spese  finali,  come
eventualmente modificato ai sensi dei commi 728, 730, 731 e 732». 
    Degli altri commi, la parte maggiore consiste in precisazioni  di
elementi contabili che  possono  o  non  possono,  in  casi  e  tempi
determinati, essere considerati ai fini del saldo non negativo, anche
secondo contingenti valutazioni di carattere politico  amministrativo
(si vedano, ad esempio, il privilegio per  l'edilizia  scolastica  di
cui al comma 713, o quello per la  bonifica  ambientale,  di  cui  al
comma 716). 
    Un'ulteriore parte dei commi da 707 a 734  contiene  disposizioni
che definiscono in termini precisi e rigidi le conseguenze alle quali
vanno incontro gli enti che non riescono a conformarsi  al  principio
del saldo non negativo (comma 723), o che semplicemente  violano  uno
degli obblighi strumentali alla  verifica  (commi  729  e  721).  Tra
questi e' qui impugnato  il  comma  723,  nella  parte  in  cui,  con
riferimento ai comuni della provincia, limita la potesta' legislativa
primaria della ricorrente provincia in materia di finanza locale. 
    Infine, nei commi da 728 a 732 la legge istituisce un sistema  di
scambi degli «spazi finanziari» tra comuni e tra  comuni  e  regioni,
gestito in primo luogo dalle regioni a livello regionale, in  seconda
istanza  dal  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  a  livello
statale. 
    In definitiva, i commi da 704 a 734 costituiscono un coacervo non
unitario, talora espressione di competenze statali fondate  su  altro
titolo, ma in ogni caso insuscettibile di essere unificato  sotto  il
titolo di  «principi  fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica»  e  di   essere   imposto   a   questo   titolo,   mediante
autoqualificazione della norma, alla ricorrente provincia. 
        I.2.2. In  particolare.  «Illegittimita'  costituzionale  del
comma 711, nella parte in cui limita all'anno 2016 la possibilita' di
considerare, nelle  entrate  e  nelle  spese  finali  in  termini  di
competenza il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa,  al
netto della quota riveniente dal ricorso all'indebitamento». 
    Il perno del passaggio dal sistema  del  patto  di  stabilita'  a
quello dell'equilibrio di bilancio e' costituito dalla regola fissata
dal gia' ricordato comma 710 (attuativa dell'art. 9  della  legge  n.
243 del 2012, e che non costituisce oggetto di impugnazione) ai sensi
della quale «ai fini  del  concorso  al  contenimento  dei  saldi  di
finanza pubblica, gli enti di cui al comma 709 devono  conseguire  un
saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e
le spese finali, come eventualmente modificato  ai  sensi  dei  commi
728, 730, 731 e 732». 
    Tale regola e' accompagnata - come sopra ricordato - da una serie
di disposizioni che precisano sul piano contabile il  trattamento  di
specifici ambiti o elementi compositivi delle entrate e delle  spese.
Tra questi e' qui impugnato  il  comma  711  che,  sotto  un  aspetto
puramente tecnico, nasconde un rilevante  sacrificio  in  termini  di
autonomia di spesa. 
    Il comma 711 consta di due periodi. Il primo (che non costituisce
oggetto di impugnazione) in sede  tecnica  stabilisce  che  «ai  fini
dell'applicazione del  comma  710,  le  entrate  finali  sono  quelle
ascrivibili ai titoli 1, 2,  3,  4  e  5  dello  schema  di  bilancio
previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e  le  spese
finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema
di bilancio». Sennonche',  la  disposizione  continua  statuendo  che
«limitatamente all'anno 2016, nelle entrate e nelle spese  finali  in
termini di competenza e' considerato il fondo pluriennale  vincolato,
di entrata e di spesa, al netto della quota  riveniente  dal  ricorso
all'indebitamento» (enfasi aggiunta). 
    Puo'  essere  opportuno  ricordare  che  il   fondo   pluriennale
vincolato e' una posta di bilancio introdotta dalla nuova  disciplina
in materia di armonizzazione dei sistemi contabili di cui al  decreto
legislativo n. 118 del 2011, che dal 2016  trova  applicazione  anche
per la  provincia  di  Trento.  Esso  rappresenta  lo  strumento  per
reimputare su esercizi successivi spese gia' impegnate, relativamente
alle quali sussiste un'obbligazione  giuridicamente  perfezionata,  e
quindi un  vincolo  ad  effettuare  i  relativi  pagamenti  i  quali,
tuttavia, giungeranno a scadenza negli  esercizi  sui  quali  vengono
reimputate le spese. Tale reimputazione risulta obbligatoria ai sensi
del decreto legislativo n. 118 del 2011. 
    Trattandosi di spese gia' impegnate su esercizi precedenti,  esse
risultano finanziariamente gia' coperte con entrate di tali esercizi,
tenuto conto del fatto che il  bilancio  della  provincia  e'  sempre
stato  approvato  in  equilibrio.  Proprio  per  questo,  le   regole
dell'armonizzazione prevedono che l'operazione di reimputazione delle
spese sia accompagnata dalla reimputazione delle relative entrate sui
medesimi  esercizi  finanziari  attraverso  il   fondo   pluriennale,
alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate  le
spese. 
    La contestazione di cui al presente ricorso  ha  per  oggetto  la
limitazione di tale facolta' al 2016: essa, infatti, si traduce nella
impossibilita' a decorrere dal  2017,  di  utilizzare  i  fondi  gia'
destinati negli esercizi  precedenti  al  finanziamento  delle  spese
oggetto di riprogrammazione, con conseguente necessita' di utilizzare
a  loro  copertura  nuove  entrate  dell'anno   sul   quale   vengono
riprogrammate le spese,  che  diversamente  avrebbero  potuto  essere
altrimenti impiegate  per  nuovi  interventi.  La  norma  oggetto  di
impugnativa   determina   inoltre,   in   presenza    di    ulteriori
riprogrammazioni  di  spesa,  la  necessita'  di  dover  rifinanziare
nuovamente la stessa spesa. 
    Si noti che  le  risorse  del  fondo  pluriennale  vincolato  non
rappresentano risorse non utilizzate derivanti da economie di spesa o
da maggiori accertamenti di  entrata.  Al  contrario,  si  tratta  di
risorse utilizzate per coprire spese per le quali  sussiste  in  capo
all'ente un'obbligazione giuridicamente perfezionata, che giungera' a
scadenza in un esercizio successivo. Non si tratta dunque  di  avanzi
di  amministrazione,  come  tali  non  utilizzabili  ai  fini   degli
equilibri di bilancio di cui all'art. 9 della legge n. 243 del  2012,
bensi' delle regole di contabilizzazione di investimenti pluriennali. 
    L'impossibilita' di utilizzare questo meccanismo  a  partire  dal
2017 determina cosi' un congelamento delle risorse  pur  disponibili,
la cui utilizzazione era gia' stata programmata, al  di  fuori  delle
limitazioni imposte dalla  regola  del  saldo  non  negativo  di  cui
all'art. 9 della legge n. 243 del  2012,  con  violazione,  in  primo
luogo, del principio di autonomia finanziaria dal lato  della  spesa.
Esso e' implicito nello statuto di  autonomia,  dal  momento  che  le
risorse di cui agli  articoli  69  e  seguenti  sono  assegnate  alle
province autonome per far fronte alle funzioni loro assegnate,  e  in
cui  le  limitazioni  possibili  sono   esaustivamente   disciplinate
all'art. 79, ed  e'  espressamente  enunciato  dall'art.  119,  primo
comma, Cost. 
    E' vero che l'art. 119, come del resto lo statuto  di  autonomia,
fa  salvo  il  «rispetto  dell'equilibrio  dei  relativi  bilanci,  e
concorrono  ad  assicurare  l'osservanza  dei  vincoli  economici   e
finanziari derivanti dall'ordinamento  dell'Unione  europea»,  ma  si
tratta  di  valori  che,  come  detto,  non  sono  messi  a   rischio
dall'utilizzo   delle   proprie   risorse   programmate   per   spese
pluriennali. 
    Ugualmente, la limitazione non puo' essere giustificata in  forza
di quanto dispone l'art. 9, comma 5, della  legge  n.  42  del  2009,
secondo il quale «al fine  di  assicurare  il  rispetto  dei  vincoli
derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, la legge dello Stato,
sulla  base  di  criteri  analoghi   a   quelli   previsti   per   le
amministrazioni statali e tenendo conto di parametri di  virtuosita',
puo' prevedere ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma
1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di  finanza
pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche»: da  un  lato
in quanto non ricorrono le condizioni previste da  tale  disposizione
(a partire dalla stessa necessita'  di  assicurare  il  rispetto  dei
vincoli europei, gia' garantito dal saldo non  negativo),  dall'altro
in quanto il successivo comma 6 assoggetta comunque tali misura  alla
condizione della  compatibilita'  con  lo  statuto  di  autonomia,  a
cominciare dal principio pattizio che lo permea. 
    Va in particolare ricordato che il comma  4-quater  dell'art.  79
dello statuto  detta  nei  termini  che  seguono  la  disciplina  del
passaggio della provincia  autonoma  al  criterio  di  equilibrio  di
bilancio: «A decorrere dall'anno  2016,  la  regione  e  le  province
conseguono il pareggio del bilancio come definito dall'art.  9  della
legge 24 dicembre 2012, n. 243. Per gli anni 2016 e 2017 la regione e
le  province  accantonano  in  termini  di  cassa  e  in  termini  di
competenza  un   importo   definito   d'intesa   con   il   Ministero
dell'economia e  delle  finanze  tale  da  garantire  la  neutralita'
finanziaria per i saldi di finanza pubblica.  A  decorrere  dall'anno
2018 ai predetti enti ad autonomia differenziata non si applicano  il
saldo programmatico di cui al comma 455 dell'art. 1  della  legge  24
dicembre 2012, n. 228, e le  disposizioni  in  materia  di  patto  di
stabilita' interno in contrasto con il pareggio di bilancio di cui al
primo periodo del presente comma». 
    Lo strumento di garanzia della neutralita' dei  saldi  e'  dunque
l'accantonamento definito d'intesa, e non altri mezzi di contenimento
della spesa, quale risulta il dispositivo previsto dal comma 711. 
    Risulta  inoltre  violato  il   principio   di   buon   andamento
dell'amministrazione di cui art. 97, comma secondo, Cost., in  quanto
risulta cosi' preclusa la realizzazione dei programmi di investimento
per la cui realizzazione i fondi sono accantonati nel fondo vincolato
di entrata. 
        I.2.3. Illegittimita' costituzionale del comma  723,  lettera
a), terzo periodo, nella parte in cui disciplina  direttamente  e  in
modo vincolante i  rapporti  finanziari  degli  enti  locali  con  la
provincia. 
    Il comma 723 disciplina, in  attuazione  dell'art.  9,  comma  4,
della legge n. 243 del 2012, le sanzioni da  applicare  nel  caso  di
mancato conseguimento dell'equilibrio gestionale. 
    Per quanto riguarda la provincia autonoma di Trento (e quella  di
Bolzano), la disposizione va letta in connessione con il  comma  734,
il quale dispone che «per gli anni 2016 e 2017 [...] non si applicano
le disposizioni di cui al comma 723 del  presente  articolo  e  resta
ferma la disciplina del patto di stabilita' interno recata  dall'art.
1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n.  228,  come
attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato». 
    Per  la  provincia  autonoma  di  Trento  rileva  la   disciplina
statutaria contenuta rispettivamente nell'art.  79,  comma  4-quater,
primo periodo, dello statuto speciale e nel comma  408  dell'art.  1,
legge n. 190 del 2014. Per quanto riguarda  gli  enti  locali  rileva
invece la competenza provinciale riconosciuta nel predetto  art.  79,
comma 3, dello statuto che ha trovato attuazione per gli enti locali,
in particolare, con l'art. 16 della  legge  provinciale  30  dicembre
2015, n. 21 («legge di stabilita' provinciale 2016»). 
    La presente impugnazione e' rivolta, nel sistema a  regime,  alla
lettera a), terzo periodo, del comma 723, ovviamente  in  connessione
con il suo «cappello». Esso dispone quanto segue: «In caso di mancato
conseguimento del saldo di cui al comma 710, nell'anno  successivo  a
quello dell'inadempienza: 
        a) (omissis) Gli enti  locali  delle  regioni  Friuli-Venezia
Giulia e Valle d'Aosta e delle  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti
erogati dalle medesime regioni o province  autonome  in  misura  pari
all'importo corrispondente allo scostamento registrato.  In  caso  di
incapienza gli enti locali sono  tenuti  a  versare  all'entrata  del
bilancio dello Stato le somme residue presso la competente sezione di
tesoreria  provinciale  dello  Stato,  al  capo  X  dell'entrata  del
bilancio dello Stato, al capitolo 3509, art. 2». 
    Ad avviso della ricorrente provincia, questa disciplina stride in
modo evidente sia con le regole poste dagli articoli 79  e  81  dello
statuto di autonomia, in particolare in materia  di  finanza  locale,
sia con le regole relative ai rapporti  tra  legislazione  statale  e
legislazione provinciale, nelle materie  di  competenza  provinciale,
poste dall'art. 2 del decreto legislativo n. 266  del  1992.  Ne'  si
puo' dire che la competenza statale prevista -  in  collegamento  con
quella in materia di coordinamento della finanza pubblica - dall'art.
9, comma 4, della legge n. 243 del 2012 giustifichi  tale  invasione:
essendo evidente, al  contrario,  che  tale  competenza  generale  va
esercitata nel rispetto delle regole speciali poste per la ricorrente
provincia dallo statuto di autonomia e dalle sue norme di attuazione. 
    Secondo l'art. 80, comma 1, dello  statuto,  «le  province  hanno
competenza legislativa in materia  di  finanza  locale». Il  comma  4
specifica che tale competenza «e' esercitata nel rispetto dell'art. 4
e dei vincoli derivanti  dall'ordinamento  dell'Unione  europea».  In
altre  parole,  si  tratta  di  una  potesta'  legislativa  di  rango
primario. 
    Alla competenza legislativa  primaria  in  questa,  materia,  del
resto, corrisponde una complessiva  responsabilita'  della  provincia
autonoma per la finanza locale, nei termini descritti dall'art. 79  e
completati dall'art. 81 dello stesso statuto. 
    Cosi' l'art. 79, comma 3, dispone che «le province provvedono  al
coordinamento della finanza pubblica provinciale, nei confronti degli
enti locali», e che «al fine di conseguire gli obiettivi  in  termini
di saldo netto da finanziare previsti in capo  alla  regione  e  alle
province  ai  sensi  del  presente  articolo,  spetta  alle  province
definire i concorsi e gli  obblighi  nei  confronti  degli  enti  del
sistema   territoriale   integrato   di    rispettiva    competenza»;
corrispondentemente, le province «vigilano sul  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti di cui al  presente
comma e, ai fini del monitoraggio  dei  saldi  di  finanza  pubblica,
comunicano al Ministero dell'economia e delle finanze  gli  obiettivi
fissati e i risultati conseguiti». Sia consentito di  ricordare  che,
in base a costante  giurisprudenza  costituzionale,  alla  competenza
nella materia, inclusiva della vigilanza, corrisponde  la  competenza
in materia di sanzioni per la mancata osservanza delle regole. 
    A completamento e chiusura del sistema, il comma 4 stabilisce che
nei  confronti  «degli  enti  appartenenti  al  sistema  territoriale
regionale integrato non sono  applicabili  disposizioni  statali  che
prevedono  obblighi,  oneri,  accantonamenti,  riserve  all'erario  o
concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti  il  patto
di stabilita'  interno,  diversi  da  quelli  previsti  dal  presente
titolo», e che «le province provvedono, per se' e per  gli  enti  del
sistema territoriale regionale integrato  di  rispettiva  competenza,
alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica  contenute  in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai  sensi
dell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
o 5, nelle materie individuate dallo statuto». 
    L'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, per parte  sua,
e' chiarissimo nell'escludere un potere statale di immediata  diretta
disciplina nelle materie di competenza provinciale, spettando  invece
alla  provincia,  come  appena   ricordato,   un   potere-dovere   di
adeguamento della normativa, in quanto  questo  sia  dovuto  (e  allo
Stato  un  compito  di  vigilanza,  accompagnato  da  un  potere   di
impugnazione delle  disposizioni  non  adeguate  davanti  alla  Corte
costituzionale). 
    Guardando il sistema statutario nel suo  complesso  risulta  che,
per quanto riguarda la regolazione della finanza locale, l'intento e'
quello di individuare nelle province di Trento e di Balzano i vertici
del sistema locale, e lo snodo obbligato  con  il  sistema  normativa
dello Stato. 
    Sembra evidente che la disposizione qui impugnata del comma  723,
lettera a), contraddice in radice l'assetto ora esposto. 
    La disposizione  ignora  completamente  la  responsabilita'  e  i
poteri della provincia, in contrasto  con  le  regole  dell'art.  79,
sopra citate, e disciplinando direttamente la materia,  in  contrasto
con l'art. 2 del decreto legislativo n. 266  del  1992,  dispone  che
ogni comune che non  rispetti  il  vincolo  del  saldo  non  negativo
subisca una corrispondente decurtazione del trasferimento provinciale
per la parte corrente. 
    Invece, fermo il vincolo all'equilibrio  complessivo  al  livello
provinciale, confermato anche dal comma 728 della stessa legge n. 208
del 2015, non vi  e'  ragione  alcuna  che  non  spetti  alla  stessa
provincia autonoma di disciplinare,  nel  quadro della  sua  potesta'
legislativa primaria  in  materia  di  finanza  locale  e  della  sua
responsabilita' per  il  sistema  integrato  (gia'  esercitata  nella
materia specifica con l'art. 16 della legge provinciale  30  dicembre
2015, n. 21) le conseguenze - all'interno del sistema  provinciale  -
del mancato rispetto del principio del saldo non  negativo  da  parte
dei comuni la cui azione essa regola e finanzia. 
        I.2.4. Illegittimita' costituzionale  del  comma  730,  nella
parte in cui, espressamente riferendosi anche alle province autonome,
disciplina direttamente e nel dettaglio  i  rapporti  tra  la  stessa
province e gli enti locali, in materia di finanza locale. 
    Il comma 728 consente alle regioni di autorizzare gli enti locali
del proprio territorio a peggiorare il rispettivo saldo «mediante  un
contestuale miglioramento, di pari importo, del  medesimo  saldo  dei
restanti enti locali della  regione  e  della  regione  stessa».  Per
quanto riguarda le province autonome, data la regola speciale dettata
dal gia' ricordato comma 734 per gli anni 2016 e 2017, si dispone che
esse operino la compensazione «mediante il contestuale miglioramento,
di pari importo, del proprio saldo programmatico riguardante il patto
di  stabilita'  interno»   (comma   728,   secondo   periodo).   Tale
disposizione non costituisce  oggetto  della  presente  impugnazione,
trattandosi tra l'altro di norma meramente facoltizzante. 
    Tuttavia, il  comma  730  detta,  per  tale  eventualita',  norme
dettagliate e direttamente applicative, come la fissazione di  regole
procedurali e di termini  precisi  e  perentori.  Specificamente,  il
comma 730 dispone che, ai fini della rideterminazione degli obiettivi
di cui al comma 728, «le regioni e le province  autonome  definiscono
criteri di virtuosita' e modalita'  operative,  previo  confronto  in
sede di Consiglio delle autonomie locali e, ove non istituito, con  i
rappresentanti regionali delle autonomie locali. Per i medesimi fini,
gli enti locali  comunicano  all'Associazione  nazionale  dei  comuni
italiani (ANCI), all'Unione delle  province  d'Italia  (UPI)  e  alle
regioni e alle province autonome, entro il 15 aprile ed entro  il  15
settembre, gli spazi finanziari di  cui  necessitano  per  effettuare
esclusivamente impegni in conto capitale ovvero gli spazi  finanziari
che sono disposti a cedere». 
    Sembra evidente che non compete allo Stato ne' di determinare  le
regole del rapporto della ricorrente provincia con  gli  enti  locali
del  proprio  territorio,  ne'  determinare  le  regole  relative   a
vincolanti trasmissioni di atti alle stesse province autonome e  alle
associazioni nazionali di enti locali. 
    Quanto alla regolazione diretta, e' ben noto  che  l'art.  2  del
decreto legislativo n. 266 del 1992  la  preclude  nelle  materie  di
competenza provinciale, spettando invece  alla  stessa  provincia  il
compito dell'adeguamento, nei limiti in cui lo statuto lo imponga. 
    Quanto  al  carattere  dettagliato  della  regolazione,  conviene
ricordare che l'art. 79, comma  4,  dello  statuto  dispone  che  «la
regione e le province provvedono, per se' e per gli enti del  sistema
territoriale  regionale  integrato  di  rispettiva  competenza,  alle
finalita'  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  contenute  in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai  sensi
dell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4
o 5, nelle materie individuate dallo statuto» (enfasi aggiunta). 
    Deve essere sottolineato, in particolare, il richiamo  ai  limiti
posti dall'art.  4  dello  statuto,  cioe'  ai  limiti  propri  della
potesta'  legislativa  primaria.  Cio'  significa  che,  secondo   lo
statuto, nelle materie di competenza legislativa primaria -  tra  cui
la finanza locale, in forza dell'art. 80 dello statuto - il dovere di
adeguamento non e' soggetto ai limiti della potesta'  concorrente  ma
e' limitato alle norme di riforma  economica  e  sociale  (oltre  che
ovviamente ai limiti generali). 
    SEZIONE II. Illegittimita' costituzionale  dei  commi  541,  542,
543, 544 e 574, in materia di organizzazione sanitaria e di personale
sanitario. 
    I commi 541, 542, 543, 544 e  574  recano  una  serie  di  misure
puntuali ed autopplicative in materia di organizzazione  sanitaria  e
di personale sanitario. 
    Di esse si  dara'.  prima  il  quadro  generale  di  sintesi,  in
raffronto alle competenze proprie della ricorrente  provincia.  Sulla
base  di  tale  quadro  verra'   poi   argomentata   l'illegittimita'
costituzionale delle singole disposizioni. 
    Il comma 541 impone alle regioni  e  alle  province  autonome  di
adottare «il provvedimento generale di  programmazione  di  riduzione
della  dotazione  dei  posti   letto   ospedalieri   accreditati   ed
effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale» secondo  le
linee di cui al decreto del Ministro della salute  n.  70  del  2015,
nonche'  «i  relativi  provvedimenti  attuativi»  (lettera   a);   di
predisporre un piano per il fabbisogno del  personale  funzionale  al
rispetto delle regole dettate dal diritto dell'Unione europea in tema
di orario di lavoro dei sanitari (lettera b); di comunicare tali atti
di programmazione ad organi misti istituiti presso il Ministero della
salute (lettera c). 
    La lettera d) dello stesso comma 541, collegandosi  alla  lettera
b), stabilisce che «se  sulla  base  del  piano  del  fabbisogno  del
personale emergono criticita', si applicano i commi 543 e 544». 
    Questi, a  loro  volta,  regolano  le  condizioni  e  la  cornice
finanziaria per le nuove assunzioni di personale medico ed ausiliario
per far fronte alle predette criticita' segnalate dal  piano  per  il
fabbisogno del personale. 
    Il comma 542 si ricollega anch'esso alla  lettera  b)  del  comma
541, prevedendo che nelle more della predisposizione e della verifica
dei piani per il fabbisogno del personale le regioni  e  le  province
autonome,  previa  attuazione  delle  modalita'   organizzative   del
personale  al  fine  di  garantire  il  rispetto  delle  disposizioni
dell'Unione  europea  in  materia  di  articolazione  dell'orario  di
lavoro, possano ricorrere a forme di lavoro flessibile, in  deroga  a
quanto previsto dall'art. 9, comma 28, del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78. 
    Il comma 574, lettera  b)  si  collega  invece  al  programma  di
riduzione dei posti letto di cui, alla lettera a) del  comma  541,  e
consente l'acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di  alta
specialita' o di prestazioni  erogate  da  parte  degli  istituti  di
ricovero e  cura  a  carattere  scientifico  a  favore  di  cittadini
residenti in regioni diverse da quelle  di  appartenenza,  in  deroga
alla limitazione di  spesa  previste  dall'art.  15,  comma  14,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ma  con  invarianza  dell'effetto
finanziario, assicurata da misure alternative, volte, in particolare,
a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessita'. 
    Si  tratta   dunque,   fondamentalmente,   di   due   gruppi   di
disposizioni, relative rispettivamente alla riduzione dei posti letto
e alla determinazione del fabbisogno di personale. 
    Le misure introdotte da tali commi e qui sinteticamente descritte
incidono sulla organizzazione del sistema sanitario  e  quindi  sulle
competenze costituzionali della ricorrente provincia  in  materia  di
tutela della salute e  di  personale  sanitario.  Essa,  infatti,  e'
titolare di competenze legislative in materia di «igiene  e  sanita',
ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera ai sensi  dell'art.
9, numero 10), dello statuto speciale. 
    Le funzioni amministrative in materia le  sono  state  trasferite
con il decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474,
recante  «Norme  di  attuazione  dello   statuto   per   la   regione
Trentino-Alto Adige  in  materia  di  igiene  e  sanita'».  Ai  sensi
dell'art. 2, comma secondo, delle predette norme di  attuazione  alle
province   autonome   «competono   le   potesta'    legislative    ed
amministrative attinenti al  funzionamento  ed  alla  gestione  delle
istituzioni  ed  enti  sanitari»;  con  riferimento   le   competenze
provinciali relative allo stato giuridico ed economico del  personale
addetto a tali istituzioni ed enti il comma 3 dello  stesso  articolo
specifica  che  esse  «sono  esercitate  nei  limiti  previsti  dallo
statuto», con evidente riferimento alla  potesta'  primaria  prevista
dall'art.  8,  n.  1)  in  materia  di  «ordinamento   degli   uffici
provinciali e del personale ad essi addetto». 
    In materia di tutela della salute la provincia dispone ora  anche
della competenza legislativa ex art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del  2001,
trattandosi di una materia «piu' ampia» rispetto  a  quella  prevista
nell'art.  9,  numero  10)  dello   statuto   di   autonomia   (Corte
costituzionale, sentenze n. 125 del 2015, n. 371 del 2008, n. 162 del
2007 e n. 134 del 2006). 
    Tali competenze sono presidiate dal  regime  di  cui  al  decreto
legislativo n. 266  del  1992,  in  base  al  quale  la  legislazione
provinciale  deve  essere  adeguata   ai   principi   stabiliti   dal
legislatore  statale  entro  i  sei  mesi   successivi   dalla   loro
pubblicazione, restando nel  frattempo  applicabili  le  disposizioni
legislative provinciali preesistenti. L'operativita' di  tale  regime
vale anche per l'espansione della  competenza  operata,  come  detto,
dall'art. 117, terzo comma, Cost. (in tal senso la  sentenza  n.  301
del  2013).  Diversamente,  del  resto,  non  ci  sarebbe  una   vera
espansione dell'autonomia. 
    Va aggiunto che ai sensi dell'art. 34, comma 3,  della  legge  23
dicembre 1994, n. 724  (Misure  di  razionalizzazione  della  finanza
pubblica), le province autonome di Trento e  Bolzano  «provvedono  al
finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale   nei   rispettivi
territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato». 
    Dal fatto che lo Stato non concorre al finanziamento del servizio
sanitario provinciale discende che - come piu'  volte  confermato  da
codesta ecc.ma Corte costituzionale (ad esempio nella sentenza n. 341
del 2009 e da ultimo nella sentenza n.  125  del  2015)  -  la  legge
statale non ha titolo per dettare norme di coordinamento  finanziario
che definiscano le modalita' di contenimento di una  spesa  sanitaria
che e' interamente sostenuta dalla provincia autonoma. 
    Alla stregua di questi criteri, le  norme  introdotte  dai  commi
indicati, nella parte in cui si  applicano  alle  province  autonome,
risultano dunque incostituzionali in quanto: 
        i)  per  il  loro  carattere  minuzioso  e  dettagliato,  non
costituiscono  principi  fondamentali  della  materia  «tutela  della
salute» (ne' tantomeno norme di grande riforma) e quindi invadono  la
competenza legislativa della provincia autonoma; 
        ii) per la loro  pretesa  di  applicarsi  direttamente  nelle
province violano l'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992; 
        iii)  non  possono  essere  accreditate  come   principi   di
coordinamento della finanza pubblica,  dal  momento  che  la  sanita'
pubblica e' integralmente finanziata dalla provincia e che, comunque,
il coordinamento finanziario nei confronti delle province autonome e'
soggetto alle regole di cui all'art. 79 dello statuto. 
    Piu' precisamente per ciascuno dei  due  gruppi  di  disposizioni
valgono le considerazione che seguono. 
    II.1. Illegittimita' costituzionale del comma 541 per  violazione
degli articoli 8, numero 1) e 9, numero 10), dello statuto  speciale,
o,  se  piu'  favorevole,  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in
combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del  2001,
nonche' per violazione dell'art. 16 dello statuto; limitatamente alla
lettera a), illegittimita' costituzionale, per  violazione  dell'art.
136 Cost. 
    Il  comma  541  stabilisce   che   «nell'ambito   della   cornice
finanziaria programmata per il  Servizio  sanitario  nazionale  e  in
relazione alle misure di accrescimento  dell'efficienza  del  settore
sanitario  previste  dai  commi  da  521  a  552  e  alle  misure  di
prevenzione e gestione del rischio sanitario di cui ai commi da 538 a
540, al fine di assicurare la continuita' nell'erogazione dei servizi
sanitari, nel rispetto  delle  disposizioni  dell'Unione  europea  in
materia di articolazione dell'orario  di  lavoro,  le  regioni  e  le
province autonome: 
        a)  ove  non  abbiano  ancora  adempiuto  a  quanto  previsto
dall'art. 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del  Ministro
della salute 2 aprile 2015, n. 70, adottano il provvedimento generale
di programmazione  di  riduzione  della  dotazione  dei  posti  letto
ospedalieri accreditati  ed  effettivamente  a  carico  del  Servizio
sanitario regionale nonche' i relativi  provvedimenti  attuativi.  Le
regioni sottoposte ai  piani  di  rientro,  in  coerenza  con  quanto
definito dall'art. 1, comma  4,  del  medesimo  decreto,  adottano  i
relativi provvedimenti nei tempi e  con  le  modalita'  definiti  nei
programmi operativi di prosecuzione dei piani di rientro; 
        b)  predispongono  un  piano  concernente  il  fabbisogno  di
personale, contenente l'esposizione delle modalita' organizzative del
personale,  tale  da  garantire  il   rispetto   delle   disposizioni
dell'Unione europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro
attraverso  una  piu'  efficiente  allocazione  delle  risorse  umane
disponibili, in coerenza con quanto disposto dall'art. 14 della legge
30 ottobre 2014, n. 161; 
        c) trasmettono entro il 29 febbraio 2016 i  provvedimenti  di
cui alle lettere a) e b) al Tavolo di verifica degli adempimenti e al
Comitato permanente per la verifica dell'erogazione dei LEA,  di  cui
rispettivamente agli articoli 12  e  9  dell'Intesa  23  marzo  2005,
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, [...]  nonche'
al Tavolo per il monitoraggio dell'attuazione del regolamento di  cui
al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70,  istituito
ai sensi della  lettera  C.5  dell'Intesa  sancita  dalla  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 2  luglio  2015;  il
Tavolo di verifica degli adempimenti e il Comitato permanente per  la
verifica dell'erogazione dei LEA valutano congiuntamente, entro il 31
marzo 2016, i provvedimenti di cui alle lettere a) e b), anche  sulla
base dell'istruttoria condotta dal Tavolo di  cui  alla  lettera  C.5
dell'Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella
seduta del 2 luglio 2015; 
        d)  ferme  restando  le  disposizioni  vigenti   in   materia
sanitaria, ivi comprese quelle in materia di contenimento  del  costo
del personale e quelle in materia di piani di rientro, se sulla  base
del piano  del  fabbisogno  del  personale  emergono  criticita',  si
applicano i commi 543 e 544». 
    La disposizione contiene norme di dettaglio, che  sono  destinate
ad  applicarsi  direttamente  anche  nelle  province   autonome,   in
violazione delle regole generali  sul  riparto  costituzionale  delle
competenze legislative nelle materie  di  potesta'  concorrente  (qui
l'art. 9, n.  10  dello  statuto  speciale  o,  se  piu'  favorevole,
dell'art. 117, terzo comma, Cost., in combinato con l'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001) e delle regole specifiche sui rapporti tra
fonti statali e fonti provinciali dettate  dall'art.  2  del  decreto
legislativo n. 266  del  1992,  nonche'  con  lesione  dell'autonomia
amministrativa  della   provincia   nelle   materie   di   competenza
provinciale, ai sensi dell'art. 16 dello statuto. Sia la lettera  a),
sia la lettera b) del comma 541, infatti, anziche'  dettare  principi
fondamentali  in  grado  di  orientare  l'azione  legislativa   delle
province autonome, hanno  un  contenuto  specifico  e  concreto,  che
direttamente   disciplina   l'esercizio   di   determinate   funzioni
programmatorie. 
    1. In particolare, la lettera a), rinviando al regolamento di cui
al decreto ministeriale 2 aprile 2015 in  materia  di  riduzione  dei
posti letto ospedalieri, riproduce la norma  gia'  dettata  dall'art.
15, comma 13, lettera c), del decreto-legge  6  luglio  2012,  n.  95
(Disposizioni urgenti per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.  135,  e  gia'
dichiarata incostituzionale. Proprio per il suo carattere di norma di
dettaglio, da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza  n.
125 del 2015, nella parte in cui si applica alle province autonome di
Bolzano e di Trento. 
    Nella citata sentenza n. 125 del 2015, infatti, codesta Corte  ha
osservato che le norme sulla riduzione dei posti  letto  -  impugnate
anche in quel caso dalla qui ricorrente provincia autonoma di  Trento
-  «non  si  articolano  in  enunciati  generali  riconducibili  alla
categoria dei principi,  ma  pongono  in  essere  una  disciplina  di
dettaglio»,  con  la  conseguenza   che   le   predette   misure   in
considerazione  «non  possono  trovare  fondamento   nella   potesta'
legislativa concorrente dello Stato». 
    Sempre la sentenza n. 125 del 2015 ribadisce che per le  province
autonome tali norme non possono trovare fondamento  nella  competenza
statale sui  principi  in  materia  di  coordinamento  della  finanza
pubblica o in quella a determinare i LEA,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, Cost. Non e' conferente il richiamo  al  coordinamento
della finanza pubblica dal momento che  l'art.  34,  comma  3,  della
legge n. 724 del 1994, n.  724,  affida  alle  province  autonome  di
Trento e Bolzano il finanziamento del  Servizio  sanitario  nazionale
nei rispettivi territori, senza alcun apporto a carico  del  bilancio
statale,  lo  Stato  e'  privo  di  titolo  per  dettare   norme   di
coordinamento   finanziario   che   definiscano   le   modalita'   di
contenimento di una spesa sanitaria  interamente  sostenuta  da  tali
enti autonomi; non e' pertinente il richiamo ai LEA,  trattandosi  di
norma  che  non  tende  a  garantire  un  minimum  intangibile   alla
prestazione. 
    Per  i  medesimi  motivi  e'  dunque  illegittima  la  norma  qui
censurata,  che  pretende  nuovamente  di  assoggettare  le  province
autonome al processo di riduzione dei posti letto ospedalieri  e  che
anzi le vincola, in violazione del decreto  legislativo  n.  266  del
1992 e della riserva di legge in  materia  di  principi  fondamentali
della materia, all'osservanza di un  atto  secondario  divenuto,  per
esse, privo di base legislativa. In quanto riproduce e  perpetua  gli
effetti di una norma  gia'  dichiarata  incostituzionale  da  codesta
ecc.ma Corte con la sentenza n. 125 del 2015 la norma contrasta anche
con il giudicato costituzionale e quindi viola l'art. 136 Cost. 
    2. Quanto  alle  lettere  b)  e  d),  esse  hanno  egualmente  un
contenuto minuzioso e concreto, imponendo - per quanto qui  interessa
- alla provincia ricorrente di adottare  in  tempi  strettissimi  (il
piano va trasmesso entro il 29 febbraio 2016) un atto  programmatorio
relativo al  fabbisogno  del  personale  sanitario  e  condizionando,
tramite il rinvio ai commi 543 e 544, il ricorso a nuove assunzioni a
requisiti molto stringenti. 
    Questa  parte  della  disposizione  impugnata  si  correla   alla
procedura di infrazione n. 2011/4185, con cui la Commissione  europea
ha contestato alla Repubblica italiana la violazione della  direttiva
2003/88/CE, in relazione alla mancata previsione  del  riposo  minimo
quotidiano per gli esercenti la professione sanitaria - problema  che
e' gia' stato oggetto di intervento del legislatore con la  legge  30
ottobre 2014, n. 161, recante «Disposizioni per  l'adempimento  degli
obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea -
Legge europea 2013-bis», che ha abrogato - con efficacia differita  -
le norme statali in contrasto con la direttiva ed ha  demandato  alle
regioni e alle province  autonome  il  compito  di  far  fronte  alle
connesse  esigenze  di  personale  attraverso  una  piu'   efficiente
allocazione delle risorse umane disponibili. 
    Ora, la norma qui contestata - con i correlati commi 542,  543  e
544, anch'essi oggetto di impugnazione - consente alle regioni e alle
province autonome di far fronte alle esigenze di personale  sanitario
mediante contratti di lavoro  flessibile  o  nuove  assunzioni,  solo
pero' nell'ambito di  una  dettagliatissima  griglia  di  presupposti
procedurali e di condizionamenti finanziari che non  rappresentano  -
proprio per il loro carattere puntuale  e  contingente  -  ne'  norme
fondamentali di grande riforma  in  materia  di  personale  (art.  8,
numero 1, dello statuto, come interpretato dall'art. 2, comma 3,  del
decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1975,  n.  474),  ne'
una cornice di principi della materia «tutela della salute», ne'  una
cornice di coordinamento finanziario:  almeno  per  la  provincia  di
Trento che finanzia autonomamente  il  sistema  sanitario  e  che  e'
soggetta al potere di  coordinamento  finanziario  dello  Stato  solo
nelle forme previste dall'art. 79 dello statuto  speciale,  e  dunque
secondo il metodo degli obiettivi  concordati  oppure  in  quanto  la
norma statale contenga principi costituenti  limiti  ai  sensi  degli
articoli 4 o 5 dello statuto, attraverso l'adeguamento delle  propria
legislazione negli ambiti di propria competenza. 
    Tali  limitazioni,  nei  modi  in   cui   sono   espresse   dalle
disposizioni impugnate, sono dunque costituzionalmente illegittime. 
    3. Quanto alla lettera  c),  gli  obblighi  di  trasmissione  dei
provvedimenti programmatori di cui alle lettere a) e b) e  il  potere
di valutazione di tali atti assegnato al  Tavolo  di  verifica  degli
adempimenti, al Comitato permanente per la verifica dei LEA,  nonche'
al Tavolo per il monitoraggio dell'attuazione del regolamento di  cui
al decreto ministeriale n. 70 del 2015, si  pongono  in  rapporto  di
accessorieta' rispetto alle norme di dettaglio censurate sopra e sono
il  contenuto  di  norma  anch'essa  di  mero  dettaglio,  e   quindi
illegittima per gli stessi motivi. 
    La previsione, in capo a tali organi, di un potere di valutazione
e  di  vigilanza  rispetto  ad  atti  di  esercizio   di   competenze
provinciale comporta poi una lesione dell'autonomia  organizzativa  e
amministrativa della provincia in materia sanitaria,  con  violazione
dell'art. 8, numero 1) e dell'art. 16  dello  statuto,  come  attuato
dall'art. 4 del decreto legislativo n. 266  del  1992,  a  mente  del
quale «nelle materie di competenza  propria  della  regione  o  delle
province autonome la legge non puo' attribuire  agli  organi  statali
funzioni amministrative, comprese quelle  di  vigilanza,  di  polizia
amministrativa  e  di  accertamento  di  violazioni   amministrative,
diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale  e
le relative norme di attuazione, salvi gli  interventi  richiesti  ai
sensi dell'art. 22 dello statuto medesimo». 
    Si rammenta che nella sentenza n. 237  del  2014  codesta  ecc.ma
Corte, dopo aver ricordato  che  il  potere  ispettivo  sulle  Unita'
sanitarie locali, in quanto riconducibile al  piu'  ampio  potere  di
vigilanza,  spetta  alle  province  autonome,  con   la   conseguente
esclusione di un controllo aggiuntivo  da  parte  del  Ministero  del
tesoro (con richiamo alle sentenze n. 182  del  1997  e  n.  228  del
1993), ha ritenuto inapplicabili ad  esse  l'art.  1,  comma  8,  che
prevedeva  una  vigilanza  sui  vincoli  finanziari  in  materia   di
contenimento della spesa previsti dal decreto-legge n. 101 del  2013,
con il rilievo che «tale disposizione, ove applicata  alla  provincia
autonoma, sarebbe in contrasto con l'art. 4 del  decreto  legislativo
n. 266 del 1992, ai sensi del  quale,  nelle  materie  di  competenza
propria della regione o delle province autonome, la  legge  non  puo'
attribuire agli  organi  statali  funzioni  amministrative,  compresa
quella di vigilanza, diverse da quelle spettanti allo  Stato  secondo
lo statuto speciale e le relative norme di attuazione». 
    II.2. Illegittimita' dei commi 542, 543  e  544,  per  violazione
degli articoli 8, numero 1, e 9, numero 10, dello  statuto  speciale,
o,  se  piu'  favorevole,  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost,   in
combinazione con l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del  2001.
Violazione degli articoli 16 e 79 dello statuto speciale. 
    Come si e' ricordato sopra, i commi 542, 543 e 544 riguardano  il
reperimento di personale sanitario  per  far  fronte  alle  eventuali
carenze connesse con la necessita' di osservare gli obblighi  europei
sul riposo giornaliero, obblighi che secondo la  Commissione  europea
sono applicabili anche al personale medico. 
    Piu' precisamente, il comma 542 stabilisce che «nelle more  della
predisposizione e della verifica dei  piani  di  cui  al  comma  541,
lettera b), nel periodo dal 1° gennaio 2016 al  31  luglio  2016,  le
regioni e le province autonome,  previa  attuazione  delle  modalita'
organizzative del personale al fine di garantire  il  rispetto  delle
disposizioni  dell'Unione  europea  in   materia   di   articolazione
dell'orario   di   lavoro,   qualora   si    evidenzino    criticita'
nell'erogazione  dei  livelli  essenziali  di   assistenza,   possono
ricorrere, in deroga a quanto previsto dall'art.  9,  comma  28,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,  e  successive  modificazioni,  a
forme di lavoro flessibile, nel rispetto delle  disposizioni  vigenti
in materia sanitaria, ivi comprese quelle  relative  al  contenimento
del costo del personale e in materia di piani di rientro». 
    La disposizione, al secondo periodo, aggiunge che «se al  termine
del medesimo periodo temporale permangono le predette  condizioni  di
criticita', i contratti di lavoro stipulati ai sensi  del  precedente
periodo possono essere prorogati  fino  al  termine  massimo  del  31
ottobre 2016»  e,  al  terzo  periodo,  impone  di  dare  «tempestiva
comunicazione» ai Ministeri della  salute  e  dell'economia  e  delle
finanze «del ricorso a tali forme di lavoro flessibile  nel  rispetto
delle disposizioni vigenti in materia sanitaria, ivi comprese  quelle
relative al contenimento del costo del  personale  e  in  materia  di
piani di rientro». 
    Il comma 543 stabilisce che «in  deroga  a  quanto  previsto  dal
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015 [...],
in attuazione dell'art. 4, comma  10,  del  decreto-legge  31  agosto
2013, n. 101,  [...],  gli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale
possono indire, entro il 31 dicembre 2016, e concludere, entro il  31
dicembre 2017, procedure concorsuali straordinarie  per  l'assunzione
di  personale  medico,   tecnico-professionale   e   infermieristico,
necessario a far fronte alle eventuali esigenze  assunzionali  emerse
in relazione alle valutazioni operate nel  piano  di  fabbisogno  del
personale secondo quanto previsto dal comma  541.  Nell'ambito  delle
medesime procedure  concorsuali,  gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale possono riservare i posti disponibili, nella misura massima
del 50  per  cento,  al  personale  medico,  tecnico-professionale  e
infermieristico in servizio alla data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge, che abbia maturato alla  data  di  pubblicazione  del
bando almeno tre anni di  servizio,  anche  non  continuativi,  negli
ultimi cinque anni con contratti a tempo determinato,  con  contratti
di collaborazione coordinata e continuativa  o  con  altre  forme  di
rapporto di lavoro flessibile con i medesimi enti. Nelle  more  della
conclusione delle medesime procedure, gli enti del Servizio sanitario
nazionale continuano ad avvalersi del personale di cui al  precedente
periodo, anche in deroga ai limiti di cui all'art. 9, comma  28,  del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 [...] In relazione a tale deroga,
gli enti del Servizio sanitario nazionale,  oltre  alla  prosecuzione
dei rapporti  di  cui  al  precedente  periodo,  sono  autorizzati  a
stipulare nuovi contratti  di  lavoro  flessibile  esclusivamente  ai
sensi del comma 542 fino al termine massimo del 31 ottobre 2016». 
    Infine, il comma 544 stabilisce - nel  primo  periodo,  e  dunque
nella parte che qui e' oggetto di censura - che «le previsioni di cui
al comma 543, per il biennio 2016-2017,  sono  comunque  attuate  nel
rispetto della cornice finanziaria programmata e  delle  disposizioni
di cui all'art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191,  e
dell'art. 17, commi 3, 3-bis e  3-ter,  del  decreto-legge  6  luglio
2011, n. 98, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  15  luglio
2011,  n.  111,  e  successive  modificazioni,  e,  per  le   regioni
sottoposte a piani di rientro,  degli  obiettivi  previsti  in  detti
piani». 
    Come  risulta  pianamente  dal  testo  delle  disposizioni  sopra
riportate, le stesse dettano norme di mero  dettaglio,  destinate  ad
una applicazione puntuale e contingente, oltre che diretta  (sia  per
il riferimento a precise tempistiche, sia  per  l'individuazione  dei
destinatari). 
    Tali caratteristiche le rendono incompatibili sia con il  riparto
vincolato tipico della potesta' primaria in materia di personale,  ai
sensi dell'art. 8, numero 1, come interpretato dall'art. 2, comma  3,
del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474,  e
della potesta' concorrente in materia di sanita' (art. 9, numero  10,
dello statuto, o art. 117, terzo comma, Cost., se  piu'  favorevole),
sia con il principio  di  impermeabilita'  sancito  dall'art.  2  del
decreto legislativo n. 266 del 1992;  sia,  infine,  con  l'autonomia
amministrativa della provincia, garantita dall'art. 16 dello  statuto
con riferimento alle materie di competenza provinciale e  dunque  nel
presente caso il personale e la sanita'. 
    Vi e' poi da osservare che la provincia autonoma di  Trento,  che
ai sensi dell'art. 117, quinto comma, Cost., e' chiamata ad  eseguire
nelle proprie materie gli obblighi europei, aveva gia'  autonomamente
provveduto ad autorizzare le  procedure  per  l'assunzione  di  nuovo
personale sanitario con  delibera  del  27  novembre  2015,  n.  2168
«Disposizioni  organizzative  in  ordine  al   Servizio   ospedaliero
provinciale (SOP)» anche proprio rispettare  gli  obblighi  derivanti
dalla direttiva 2003/88/CE, e che tale programmazione non puo' essere
legittimamente  vincolata  dalle  norme  impugnate  nemmeno   con   i
riferimento ai vincoli finanziari. 
    Infatti, le norme censurate, nella parte in cui si applicano alla
provincia  autonoma,  non   sono   giustificabili   come   norme   di
coordinamento della finanza pubblica. Va ribadito, in proposito,  che
la legge statale non ha titolo per  dettare  norme  di  coordinamento
finanziario per  il  contenimento  di  una  spesa  sanitaria  che  e'
interamente a carico della provincia (cosi' le piu'  volte  ricordate
sentenze n. 341 del 2009 e n. 125 del 2015); e, in secondo luogo, che
il concorso delle province autonome alla finanza pubblica  passa  per
le forme e per i limiti di cui all'art. 79 dello statuto, e dunque la
provincia  persegue  le  finalita'  di  coordinamento   espresse   da
specifiche disposizioni legislative dello Stato adeguando,  ai  sensi
dell'art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, la propria
legislazione ai  principi  che  costituenti  limiti  ai  sensi  degli
articoli 4 o 5n (cosi' l'art. 79, quarto comma, statuto speciale). 
    II.3. Illegittimita' del comma 574, lettera  b),  per  violazione
dell'art.  9,  numero  10,  dello  statuto  speciale,  o,   se   piu'
favorevole, dell'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  combinazione  con
l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Violazione  degli
articoli 16 e 79 dello statuto speciale. 
    Il comma 574 si ricollega invece alla lettera a) del  comma  541,
che impone illegittimamente alla provincia  la  riduzione  dei  posti
letti  negli  ospedali,  e  compensa   tale   riduzione   consentendo
l'acquisto  di  prestazioni  di  assistenza   ospedaliera   di   alta
specialita' o di prestazioni  erogate  da  parte  degli  istituti  di
ricovero e  cura  a  carattere  scientifico  a  favore  di  cittadini
residenti in regioni diverse da quelle  di  appartenenza,  in  deroga
alla limitazione di  spesa  previste  dall'art.  15,  comma  14,  del
decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ma  con  invarianza  dell'effetto
finanziario, assicurata da misure alternative, volte, in particolare,
a ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessita'. 
    Piu'  precisamente,  il  comma  574,  dopo   aver   marginalmente
modificato l'art. 15, comma 14, primo periodo (che  ora  recita:  «ai
contratti e  agli  accordi  vigenti  nell'esercizio  2012,  ai  sensi
dell'art. 8-quinquies del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.
502, per l'acquisto di  prestazioni  sanitarie  da  soggetti  privati
accreditati  per  l'assistenza  specialistica  ambulatoriale  e   per
l'assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell'importo e dei
corrispondenti volumi d'acquisto in misura determinata dalla  regione
o dalla provincia autonoma, tale  da  ridurre  la  spesa  complessiva
annua, rispetto alla spesa consuntivata per l'anno  2011,  dello  0,5
per cento per l'anno 2012, dell'1 per cento per l'anno 2013 e  del  2
per cento a decorrere dall'anno 2014»), vi aggiunge, con  la  lettera
b),  questo  ulteriore  periodo:  «a  decorrere  dall'anno  2016,  in
considerazione  del  processo   di   riorganizzazione   del   settore
ospedaliero privato accreditato in attuazione di quanto previsto  dal
regolamento di cui al decreto del  Ministro  della  salute  2  aprile
2015, n. 70, al fine di valorizzare il  ruolo  dell'alta  specialita'
all'interno del  territorio  nazionale,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano  possono  programmare  l'acquisto  di
prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialita', nonche' di
prestazioni erogate da parte degli Istituti  di  ricovero  e  cura  a
carattere scientifico (IRCCS) a  favore  di  cittadini  residenti  in
regioni diverse da quelle di appartenenza  ricomprese  negli  accordi
per la compensazione della mobilita' interregionale di cui all'art. 9
del Patto per la salute sancito in sede di Conferenza permanente  per
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di  Trento
e di Bolzano con intesa del 10 luglio  2014  (atto  rep.  82/CSR),  e
negli  accordi  bilaterali  fra  le  regioni  per  il  governo  della
mobilita' sanitaria interregionale, di cui all'art. 19 del Patto  per
la salute sancito con intesa del 3 dicembre  2009,  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale n. 3 del 5  gennaio  2010,  in  deroga  ai  limiti
previsti dal primo periodo». 
    Il comma 574, lettera b), prosegue condizionando  tale  acquisti,
«in ogni caso», alla «invarianza  dell'effetto  finanziario»:  a  tal
fine «le regioni e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
provvedono ad adottare misure alternative, volte, in  particolare,  a
ridurre le prestazioni inappropriate di bassa complessita' erogate in
regime ambulatoriale, di pronto soccorso, in ricovero ordinario e  in
riabilitazione e lungodegenza,  acquistate  dagli  erogatori  privati
accreditati, in misura tale da assicurare il rispetto degli obiettivi
di riduzione di cui al primo periodo, nonche' gli obiettivi  previsti
dall'art. 9-quater, comma 7, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2015,  n.  125;
possono  contribuire  al  raggiungimento   del   predetto   obiettivo
finanziario anche misure alternative a valere  su  altre  aree  della
spesa sanitaria». 
    Infine la disposizione impugnata, dopo aver rinviato agli accordi
in sede di Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le province autonome l'individuazione delle prestazioni  di
assistenza  di  alta   specialita'   e   i   relativi   criteri   di,
appropriatezza (terzo periodo), sancisce - al quarto  periodo  -  che
«le regioni trasmettono trimestralmente ai Ministeri della  salute  e
dell'economia e delle finanze i provvedimenti di  propria  competenza
di compensazione della  maggiore  spesa  sanitaria  regionale  per  i
pazienti extraregionali presi in carico dagli IRCCS». 
    Oggetto di impugnazione e'  il  comma  574,  lettera  b),  primo,
secondo e - ove applicabile alla provincia autonoma - anche il quarto
periodo, che si pone in posizione accessoria e  strumentale  rispetto
ai precedenti. 
    Pure  queste  norme,  infatti,  costituiscono  precetti  di  mero
dettaglio, i quali, da un lato,  si  saldano  ad  una  operazione  di
riduzione dei posti letto ospedalieri che secondo  la  giurisprudenza
di  codesta  Corte  costituzionale  non  puo'  essere  legittimamente
imposta alla provincia autonoma di Trento (sentenza n. 125 del  2015)
e quindi stanno e cadono con la norma presupposta (l'impugnato  comma
541); dall'altro lato, pretendono di vincolare, sempre con  norme  di
dettaglio, una spesa sanitaria interamente sostenuta dalla  provincia
autonoma, e dunque intervengono senza titolo e comunque in violazione
delle regole sul coordinamento finanziario  prescritte  dall'art.  79
dello statuto. 
    SEZIONE III. Illegittimita' costituzionale dei  commi  219;  236;
469, secondo periodo e correlato comma 470; 505; 510, 512 e correlati
commi 515, 516 e 517; 548 e correlato comma  549;  574;  672;  675  e
correlato comma 676. 
    III.1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 219 e 236
per violazione degli articoli 8,  n.  1  e  79  dello  statuto  della
regione Trentino-Alto  Adige/Südtirol  o,  se  piu'  favorevole,  con
l'art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con l'art. 10, legge
cost. n. 3 del 2001, nonche' degli articoli 3 e 97 Cost. 
    Il  comma  219  dell'art.  1  riguarda,  con   riferimento   alle
amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, secondo  comma,  decreto
legislativo n. 165/2001, la disponibilita' dei posti dirigenziali  di
prima e seconda fascia vacanti alla data del 15  ottobre  2015.  Esso
dispone (primo periodo)  che  essi  «sono  resi  indisponibili  [...]
tenendo comunque conto del numero dei  dirigenti  in  servizio  senza
incarico o con incarico di studio e  del  personale  dirigenziale  in
posizione di comando, distacco,  fuori  ruolo  o  aspettativa»;  esso
dispone inoltre (secondo periodo)  che  «gli  incarichi  conferiti  a
copertura dei posti dirigenziali di cui al primo periodo dopo la data
ivi indicata e fino alla data di entrata  in  vigore  della  presente
legge cessano di diritto alla medesima data di entrata in vigore, con
risoluzione dei  relativi  contratti»,  e  prescrive  infine  (quarto
periodo) che «in ciascuna amministrazione  possono  essere  conferiti
incarichi dirigenziali solo nel rispetto del numero  complessivo  dei
posti resi indisponibili ai sensi del presente comma». 
    Parallelamente, il comma 236 dell'art. 1 prevede che, nelle  more
dell'adozione   della   riforma   della   pubblica   amministrazione,
l'ammontare  complessivo  delle  risorse  annualmente  destinate   al
trattamento accessorio del personale - anche di livello  dirigenziale
- non possa superare l'importo fissato per il 2015 e che, per  quanto
riguarda il personale in servizio, detta somma sia  proporzionalmente
diminuita tenendo conto del personale assumibile secondo la normativa
vigente. 
    La  ricorrente  provincia  ritiene  che  l'applicazione  di  tali
disposizioni nel proprio ambito debba essere esclusa in  forza  della
clausola di salvaguardia inserita nel comma 992 della  legge  n.  208
del 2015, secondo la quale «le disposizioni della presente legge sono
applicabili  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle  province
autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con  le  disposizioni
dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione,  anche  con
riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». 
    Se invece si ritenesse la diretta applicabilita', in ragione  del
richiamo generico alle «amministrazioni pubbliche», i due commi sopra
descritti si porrebbero in contrasto con gli articoli 8, n.  1  e  79
dello statuto  della  regione  Trentino-Alto  Adige/Südtirol  (o  con
l'art. 117, comma quarto, in combinazione con l'art. 10, legge  cost.
n. 3 del 2001, ove considerati piu' favorevoli), con l'art.  2  delle
norme di attuazione  di  cui  al  decreto  legislativo  n.  266/1992,
nonche' con gli articoli 3 e 97 Cost. 
    Come noto, l'art. 8, n. 1 dello statuto assegna alla provincia la
potesta' di emanare norme  legislative  -  entro  i  limiti  indicati
dall'art. 4, dedicato alla regione - in materia di «ordinamento degli
uffici provinciali  e  del  personale  ad  essi  addetto»:  potesta',
quindi, di carattere primario. 
    Tale disposizione va coordinata col dettato  dell'art.  2,  primo
comma, decreto legislativo n.  266  del  1992,  giusta  il  quale  la
regione e la provincia autonoma si adeguano, nei  limiti  dovuti,  ai
principi recati da atti legislativi  dello  Stato  (corrispondenti  a
quelli che il legislatore centrale puo' porre in materia regionale ex
articoli 4 e 5 St.) entro sei mesi dalla pubblicazione. 
    La norma impedisce che le disposizioni  emanate  dal  legislatore
statale trovino  immediata  applicazione  poiche',  giusta  il  primo
comma, hanno applicazione, durante i sei mesi, le  norme  provinciali
(in proposito vedi, da ultimo, Corte  cost.,  20  novembre  2013,  n.
274). 
    In contrasto con tale disposizione, invece, la normativa  statale
qui  contestata  entra  nell'ambito   riservato   alla   legislazione
provinciale tramite norme di carattere preciso e specifico (al  comma
219, «sono resi indisponibili i posi dirigenziali di prima e  seconda
fascia [...] vacanti alla data del 15 ottobre 2015»,  «gli  incarichi
conferiti a copertura dei posti dirigenziali di cui al primo  periodo
dopo la data ivi indicata e fino alla data di entrata in vigore della
presente legge cessano di diritto alla medesima data  di  entrata  in
vigore, con risoluzione dei relativi contratti»; al comma  236,  «dal
1° gennaio  2016  l'ammontare  complessivo  delle  risorse  destinate
annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello
dirigenziale  [...]  non  puo'  superare  il  corrispondente  importo
determinato per l'anno 2015 ed e', comunque, automaticamente  ridotto
in misura proporzionale alla riduzione  del  personale  di  servizio,
tenendo conto del  personale  assumibile  ai  sensi  della  normativa
vigente»), certamente  non  rispondenti  a  principi  di  riforma  di
carattere  economico-sociale,  gli  unici   che   potrebbero   essere
legittimamente  posti  dal  legislatore  statale  quali   limiti   al
legislatore provinciale ai sensi dell'art. 4 St. 
    In particolare, il comma 219  lede  la  potesta'  provinciale  in
primo luogo con l'esclusione  della  possibilita'  di  assunzione  di
personale dirigenziale in capo alla provincia, che  viene  fortemente
compressa sia dall'indisponibilita' dei posti gia' occupati, sia -  e
a piu' forte ragione - dalla risoluzione dei contratti gia' stipulati
da parte dell'ente pubblico. Cio' costituisce non solo un limite alla
futura possibilita' dell'Amministrazione di assumere nuovi dirigenti,
ma altresi' una rimodulazione ex  post  degli  impieghi  dirigenziali
(poi divenuti indisponibili con la legge di stabilita') gia' occupati
dal 15 ottobre 2015 in poi  (e  quindi,  incidentalmente,  anche  una
violazione dei diritti quesiti dei soggetti gia' impiegati). 
    La  lesione  della  competenza  provinciale  risulta  tanto  piu'
evidente, in quanto la provincia ha disciplinato complessivamente  la
materia, nell'ambito delle proprie competenze, con legge  provinciale
3 aprile 2015, n. 7 («Riordino della dirigenza e  dell'organizzazione
della  provincia:  modificazioni  della  legge  sul  personale  della
provincia 1997, della legge  finanziaria  provinciale  2015  e  della
legge provinciale sull'Europa 2015»),  che  pone,  all'art.  1,  come
proprio obiettivo  la  fissazione  di  un  «nuovo  ordinamento  della
dirigenza provinciale e delle strutture organizzative della provincia
al fine di rendere piu' efficiente il  sistema  pubblico  provinciale
attraverso la rimodulazione  dell'articolazione  organizzativa  e  il
riordino della dirigenza, anche con riferimento  alla  programmazione
del  fabbisogno  di  dirigenti  e   ad   appropriate   modalita'   di
reclutamento  e  conferimento  degli  incarichi   dirigenziali,   per
favorire maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione dei dirigenti
nel governo dell'autonomia». 
    Ne' diversamente puo' dirsi,  in  secondo  luogo,  per  quel  che
concerne  il  comma  236,  che  limita  l'ammontare  del  trattamento
accessorio erogabile dalle Amministrazioni destinatarie della norma a
quello erogato nel 2015. 
    Tale disposizione, oltre a risultare  invasiva  delle  competenze
riservate  alla  provincia  dall'art.  8,  n.  1  dello  statuto,  ha
contenuto irragionevole e pertanto in contrasto col canone risultante
dall'art. 3 Cost., nonche' col buon  andamento  di  cui  all'art.  97
Cost.: la violazione di tali parametri sostanziali ridonda in lesione
delle competenze provinciali, perche' impedisce ad essa  di  chiedere
lavoro straordinario ai propri  impiegati  oppure  di  retribuire  il
lavoro straordinario da questi prestato. 
    Nel trattamento accessorio, difatti, sono comprese le  componenti
del lavoro straordinario  e  delle  altre  competenze  accessorie.  A
queste condizioni, pertanto, la norma  incide  su  un  parametro  non
programmabile,  quale  quello  rappresentato   dalla   quantita'   di
straordinari che il singolo lavoratore si trovera' a dover espletare,
ove necessario. 
    Dovendo applicare tale norma, o il lavoratore, pur avendo  svolto
gli straordinari, si ritroverebbe a non poter essere  pagato;  oppure
sarebbe   impossibile,   per   l'Amministrazione,   richiedere    ore
straordinarie,  che  pur  risultino  necessarie.  Da  cio'   discende
chiaramente l'irragionevolezza della disposizione impugnata. 
    La stessa irragionevolezza emerge poi anche dalla circostanza che
vengono  meno  retroattivamente  i  contratti   stipulati   in   data
successiva al 15 ottobre 2015 per posti solo successivamente divenuti
indisponibili, cosi' eliminando ogni possibilita'  valutativa  (anche
in termini di bonta'  ed  efficienza  del  personale)  in  capo  alla
provincia. 
    Anche a voler considerare i commi in  parola  come  destinati  al
coordinamento della finanza pubblica, peraltro, essi  non  potrebbero
in ogni caso essere qualificati come  «principi»  suscettibili,  come
tale, di imporsi a tutti i livelli di governo. 
    Codesta ecc.ma Corte ha infatti anche di recente ribadito che «e'
consentito al legislatore statale imporre limiti alla spesa  di  enti
pubblici  regionali,   che   si   configurano   quali   principi   di
«coordinamento della finanza pubblica», anche nel  caso  in  cui  gli
«obiettivi di riequilibrio della medesima» tocchino singole  voci  di
spesa a condizione che: tali obiettivi consistano in «un contenimento
complessivo, anche se non generale, della spesa corrente», in  quanto
dette voci corrispondano ad un «importante aggregato della  spesa  di
parte corrente», come nel caso delle spese per il personale (sentenze
n. 287 del 2013 e n.  169  del  2007);  il  citato  contenimento  sia
comunque «transitorio»,  in  quanto  necessario  a  fronteggiare  una
situazione contingente, e  non  siano  previsti  «in  modo  esaustivo
strumenti o modalita' per il perseguimento  dei  suddetti  obiettivi»
(sentenze n. 23 e n. 22 del 2014; n. 236, n. 229 e n. 205  del  2013;
n. 193 del 2012; n. 169 del 2007)» (cosi' Corte cost., 7 aprile 2014,
n. 79). 
    Ora, risulta evidente, ad avviso della ricorrente provincia,  che
i due commi  sin  qui  esaminati  non  hanno  certo  l'ampio  respiro
richiesto dalla giurisprudenza  di  questa  Corte,  ma  al  contrario
disciplinano   la   materia   in   maniera   minuta   e   del   tutto
autoapplicativa: il primo giunge a disporre la risoluzione automatica
dei contratti stipulati successivamente alla data del 15 ottobre 2015
per quanto concerne le posizioni  dirigenziali;  il  secondo  prevede
analogo  automatismo  per  quel  che  concerne   la   riduzione   del
trattamento accessorio che superi  quello  erogato  per  l'annualita'
2015. 
    Il  vizio  qui  lamentato  risulta  ulteriormente   evidente   in
considerazione di quanto disposto dall'art. 79, quarto  comma,  dello
statuto, secondo il quale «la regione e le province  provvedono,  per
se' e per gli enti del sistema territoriale  regionale  integrato  di
rispettiva competenza, alle finalita' di coordinamento della  finanza
pubblica  contenute  in  specifiche  disposizioni  legislative  dello
Stato, adeguando, ai sensi dell'art. 2  del  decreto  legislativo  16
marzo 1992, n. 266, la propria legislazione ai  principi  costituenti
limiti ai sensi degli articoli 4 o 5, nelle materie individuate dallo
statuto,   adottando,   conseguentemente,    autonome    misure    di
razionalizzazione e contenimento della spesa,  anche  orientate  alla
riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle
dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni  pubbliche  del
territorio  nazionale,  in  coerenza  con  l'ordinamento  dell'Unione
europea». 
    Tale disposizione ha  evidentemente  il  senso  di  ammettere  un
intervento finalizzato al coordinamento  della  finanza  pubblica  da
parte del legislatore anche in materie  di  per  se'  riservate  alla
potesta' legislativa primaria o concorrente  della  provincia,  fermo
pero' restando  che  le  norme  statali  saranno  vincolanti  per  la
provincia in relazione ai limiti posti  dall'art.  4  o  dall'art.  5
dello statuto, a  seconda  che  si  tratti  di  materia  di  potesta'
primaria o concorrente. 
    Nel caso di specie, tutt'al contrario,  lo  Stato  ha  provveduto
direttamente e in termini di applicazione automatica,  in  violazione
dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, e  ben  oltre  i
vincoli che possono derivare alla provincia ai sensi - trattandosi di
materia di potesta' primaria - dall'art. 4 dello statuto. 
    Risulta dunque chiara l'illegittimita' costituzionale  dei  commi
219 e 236 dell'art. 1 della legge n. 208 del  2015,  nell'ipotesi  in
cui  essi  dovessero  essere  ritenuti  applicabili  alla   provincia
autonoma di Trento. 
    III.2. Contrasto dell'art. 1, commi 512, 515, 516 e 517, con  gli
articoli 8, n. 1 e 79 St., o, se piu'  favorevole,  con  l'art.  117,
quarto comma, Cost., in combinazione con l'art. 10, legge cost. n.  3
del 2001, nonche' con gli articoli 3, 97. 
    I commi 512, 515, 516  e  517  introducono  alcune  modifiche  al
sistema  di  approvvigionamento  a   carico   delle   amministrazioni
pubbliche e delle societa' inserite nel conto  economico  consolidato
della pubblica amministrazione ex legge n. 196 del 2009. 
    In  particolare,   il   comma   512   «al   fine   di   garantire
l'ottimizzazione e la razionalizzazione  degli  acquisti  di  beni  e
servizi informatici  e  di  connettivita'»  e  in  ogni  caso  «fermi
restando gli obblighi di acquisizione centralizzata  previsti  per  i
beni  e   servizi   dalla   normativa   vigente»   dispone   che   le
amministrazioni pubbliche e le societa' inserite nel conto  economico
consolidato  della  pubblica  amministrazione  provvedano  ai  propri
approvvigionamenti,  «esclusivamente  tramite  Consip  S.p.a.   o   i
soggetti  aggregatori,  ivi  comprese  le  centrali  di   committenza
regionali, per i beni e  i  servizi  disponibili  presso  gli  stessi
soggetti». 
    Si  istituisce,  peraltro,  la  possibilita'   -   specificamente
dedicata  alle  regioni  -  di   assumere   «personale   strettamente
necessario  ad  assicurare  la  piena  funzionalita'   dei   soggetti
aggregatori [...] in deroga ai vincoli  assunzionali  previsti  dalla
normativa vigente» (comma 512, secondo periodo). 
    La  regolamentazione  e'   dichiaratamente   volta,   nella   sua
finalita', al contenimento  della  spesa  pubblica,  con  un'economia
prevista del 50% della spesa annuale - «da raggiungere alla fine  del
triennio 2016-2018» - «per la  gestione  corrente  del  solo  settore
informatico, relativa al triennio 2013-2015, al netto dei canoni  per
i servizi di connettivita' e della spesa  effettuata  tramite  Consip
S.p.a. o i soggetti aggregatori documentata nel  piano  triennale  di
cui al comma 513», o tramite le  societa'  di  gestione  del  sistema
informativo  dell'amministrazione   finanziaria   (restano   comunque
esclusi  dall'obiettivo  di  risparmio,   per   espressa   previsione
normativa, l'Istituto nazionale della previdenza sociale e l'Istituto
nazionale  per  l'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul   lavoro
«nonche', per le prestazioni e i servizi erogati alle amministrazioni
committenti», le stesse societa' di gestione del sistema  informativo
dell'amministrazione  finanziaria,  alla  societa'  incaricata  degli
studi di settore di cui all'art. 10, comma 12, legge n. 146 del  1998
e la Consip S.p.a., «nonche'  l'amministrazione  della  giustizia  in
relazione alle spese  di  investimento  necessarie  al  completamento
dell'informatizzazione del processo  civile  e  penale  negli  uffici
giudiziari»),  indicando  inoltre  la  destinazione   del   risparmio
ottenuto: esso dev'essere utilizzato «per investimenti in materia  di
innovazione tecnologica» (comma 515, ultimo periodo). 
    Secondo quanto disposto dal comma 516,  «qualora  il  bene  o  il
servizio non  sia  disponibile  o  idoneo  al  soddisfacimento  dello
specifico  fabbisogno  dell'amministrazione   ovvero   in   casi   di
necessita'  ed  urgenza  comunque   funzionali   ad   assicurare   la
continuita' della gestione amministrativa», e' possibile - ma solo  a
seguito di apposita autorizzazione motivata da parte  dell'organo  di
vertice  amministrativo,  nonche'  della  comunicazione  all'ANAC   e
all'AGID - procurarseli al di fuori delle modalita' stabilite per  il
settore informatica e connettivita'. 
    Dall'inosservanza di queste disposizioni - secondo il comma 517 -
derivano conseguenze sul piano della responsabilita'  disciplinare  e
su quello del danno erariale. La ricorrente provincia ritiene che, in
forza della clausola di  salvaguardia  di  cui  al  comma  992,  gia'
richiamato, anche tali disposizioni non siano ad essa applicabili. La
presente impugnazione e' dunque proposta per  l'eventualita'  che  il
riferimento alle amministrazioni pubbliche e delle societa'  inserite
nel conto economico consolidato  della  Pubblica  amministrazione  ex
legge n. 196/2009 dovesse essere interpretato nel  senso  della  loro
applicabilita' anche alla provincia. 
    Cio',  peraltro,  dovrebbe  essere  escluso  sulla   base   della
giurisprudenza costituzionale. Con sentenza del  3  luglio  2013,  n.
220, difatti, veniva dichiarata non fondata (perche' la norma non era
applicabile  al  caso)  un'analoga  questione  posta  dalla   regione
Friuli-Venezia Giulia relativamente all'accorpamento  delle  centrali
di committenza per i piccoli comuni previsto dal decreto  legislativo
n. 163/2006,  la  cui  applicazione  alle  regioni  speciali  e  alle
province autonome  era  esclusa  dalla  clausola  di  salvaguardia  e
contenuta  nell'art.  4,   quinto   comma,   dello   stesso   decreto
legislativo. In quell'occasione, la Corte ritenne che sussistesse si'
«un obbligo di adeguamento  per  le  regioni  speciali»,  ma  che  il
legislatore non potesse disporre «una immediata cogenza  delle  norme
ivi contenute». 
    Tornando ai commi impugnati essi,  com'e'  noto,  si  calano  nel
contesto di  un  progressivo  accentramento  degli  acquisti  tramite
Consip S.p.a., societa' «in  house»  del  Ministero  dell'economia  e
delle finanze. 
    La sua disciplina, com'e' stato notato, «e'  [...]  mutata  [...]
infinite volte, il legislatore muovendosi in precario equilibrio  tra
il desiderio di ampliare il novero dei soggetti  tenuti  a  ricorrere
alle convenzioni Consip, se non altro come «tetto» di costo, al  fine
di contenere i disavanzi pubblici, e la resistenza  delle  autonomie,
ed  in  particolare  delle  regioni,  a  servirsi  di  una  struttura
centralistica» (cosi' R.  Caranta,  I  contratti  pubblici²,  Torino,
2102, 255). 
    In effetti, la tendenza  del  legislatore  statale  a  espandersi
oltre i limiti della  propria  competenza  e'  stata  arrestata,  nei
confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome,
in casi come quello poc'anzi ricordato del Friuli-Venezia Giulia,  in
forza della «clausola di  salvaguardia»  e  ribadendosi  dunque  che,
fermo il principio della organizzazione razionale  e  non  atomistica
degli  acquisti,  spetta  alle  regioni  speciali  (e  alle  province
autonome) di disporre in concreto l'attuazione del principio. 
    Ove dunque tali le norme risultassero applicabili alla  provincia
autonoma di Trento, esse sarebbero necessariamente costituzionalmente
illegittime. 
    Infatti, in primo luogo, nella  nuova  normativa  finanziaria  si
opera un nuovo «step» verso la  centralizzazione  degli  acquisti  da
parte  degli  enti  pubblici:  cio'  perche',  se  nella   precedente
legislazione  ci  si  limitava  a  indicare   le   convenzioni-quadro
stipulate  da  Consip  S.p.a.  -  facendo  pertanto,  in  definitiva,
riferimento a dei tetti di spesa e a dei rapporti tra la qualita' del
prodotto  e  il  suo  prezzo  -  oggi  viene  istituita   addirittura
l'obbligatorieta' del  ricorso  all'ente  centrale,  o  (entro  certi
limiti) a un altro ente aggregatore dislocato. 
    Come si e' gia' evidenziato relativamente alle restrizioni  delle
assunzioni, lo statuto  della  regione  Trentino-Alto  Adige/Südtirol
prevede a favore della provincia una potesta' primaria  (parallela  a
quella residuale dell'art. 117, comma quarto,  Cost.,  combinato  con
l'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001, che si invoca ove ritenuta piu'
favorevole) in materia di organizzazione dei propri  uffici  (coperta
altresi' dalle norme  di  attuazione,  e  segnatamente  dall'art.  2,
decreto  legislativo  n.  266  del   1992),   nella   quale   rientra
evidentemente anche la disciplina relativa  agli  acquisti  dei  beni
necessari al loro funzionamento, nonche'  quella  della  destinazione
del risparmio ottenuto  e  quella  della  responsabilita'  ingenerata
dalla violazione delle suddette norme. 
    Inoltre,  la  limitazione  delle  facolta'  di  acquisto   limita
gravemente   l'autonomia   finanziaria   dal   lato   della    spesa,
evidentemente implicita nel sistema statutario ed esplicita nell'art.
119, primo comma, Cost. 
    Del resto, e' la stessa Corte a confermarlo. Nella sentenza n. 36
del 2004 (rivolta peraltro a regioni a statuto  ordinario),  difatti,
essa ha evidenziato che «l'obbligo imposto di adottare i prezzi delle
convenzioni come base d'asta al ribasso per gli  acquisti  effettuati
autonomamente»   realizza   «un'ingerenza   non    poco    penetrante
nell'autonomia degli enti quanto  alla  gestione  della  spesa»:  pur
ritenendo, nel caso specifico, che essa, in  relazione  alle  regioni
ordinarie, non superasse «i limiti di un principio  di  coordinamento
adottato  entro  l'ambito  della  discrezionalita'  del   legislatore
statale». 
    Non  e'  quindi  dubbio  che  le  disposizioni   qui   contestate
comprimano in misura ben maggiore sia la facolta' di organizzare  nel
modo ritenuto piu' opportuno gli acquisti di  beni  strumentali,  sia
l'autonomia di spesa. Infatti, le disposizioni dei commi in  commento
non soltanto costituirebbero prescrizioni assai restrittive -  e  non
certo «meramente facoltizzanti» - ma  obbligherebbero  addirittura  -
salve  le  eccezioni  altrettanto  accentratamente  stabilite  -   ad
avvalersi di specifici soggetti per i propri approvvigionamenti. 
    Per giunta, non e'  possibile  invocare  l'esistenza  degli  enti
aggregatori delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle  provincie
autonome per sostenere  la  legittimita'  della  norma,  come  sta  a
dimostrare l'inciso del comma 512, secondo il  quale  «provvedono  ai
propri approvvigionamenti esclusivamente tramite Consip  S.p.a.  o  i
soggetti  aggregatori,  ivi  comprese  le  centrali  di   committenza
regionali, per i beni e  i  servizi  disponibili  presso  gli  stessi
soggetti». In caso  di  mancanza  di  un  bene  specifico  presso  il
soggetto aggregatore della provincia di Trento,  difatti,  altro  non
potrebbe essere fatto che rivolgersi a Consip S.p.a. - controllata in
via totalitaria dal Ministero dell'economia e delle finanze  -  cosi'
di fatto dovendo far intervenire forzosamente organi centrali a tutto
scapito dell'autonomia della provincia. Rimarrebbero salvi i  casi  -
pero' del tutto marginali - di  cui  al  comma  516,  che  limita  la
possibilita' di utilizzare modalita' differenti soltanto  ai  beni  e
servizi  informatici,  «qualora  il  bene  o  il  servizio  non   sia
disponibile o idoneo al soddisfacimento  dello  specifico  fabbisogno
dell'amministrazione ovvero in casi di necessita' ed urgenza comunque
funzionali   ad   assicurare   la    continuita'    della    gestione
amministrativa»  e  solo  previa  «apposita  autorizzazione  motivata
dell'organo di vertice amministrativo». 
    Ora, il complesso delle  limitazioni  sopra  descritte  non  puo'
essere imposto alla provincia autonoma di Trento ne' sotto il profilo
dell'organizzazione dei  propri  uffici  e  delle  proprie  procedure
(materia nella quale essa gode di potesta' legislativa  primaria,  ex
art. 8, n. 1 dello  statuto),  ne'  sotto  il  profilo  di  norme  di
coordinamento  finanziario  (materia  nella  quale  i  vincoli  posti
debbono trovare giustificazione nel quadro dei  limiti  generali  del
coordinamento e aggiuntivamente nel quadro dell'art. 79 dello statuto
di autonomia), ne' sotto il profilo della compressione dell'autonomia
di spesa. A questo proposito deve anche essere  osservato  che  -  al
contrario delle regioni a statuto ordinario - la  provincia  utilizza
nella spesa risorse proprie, e che dunque ha titolo per  valutare  in
proprio  la  convenienza  dei  propri  acquisti,   in   relazione   a
valutazioni di  rapporto  tra  qualita',  adeguatezza  ai  bisogni  e
prezzi,  che  non  possono  essere  concentrati  in   sede   centrale
nazionale. 
    In  ogni   caso   specificamente   illegittima   per   violazione
dell'autonomia organizzativa della provincia autonoma (art. 8,  n.  1
dello statuto o art. 117, quarto comma,  Cost.),  come  costantemente
riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale,  e'  la  norma  che
individua  in  modo   preciso   quale   organo   dell'amministrazione
provinciale sia chiamato a esercitare il potere autorizzatorio  (cfr.
da ultimo, sentenza n. 39 del 2014, nonche' n. 22 del  2012,  n.  201
del 2008 e n. 387 del 2007). 
    E' dunque evidente, ad avviso  della  ricorrente  provincia,  che
anche in questo caso  la  normativa  qui  contestata,  ove  fosse  da
intendersi  come   applicabile   alla   stessa   provincia,   sarebbe
illegittimamente invasiva delle sue competenze costituzionali. 
    Risultano dunque costituzionalmente illegittimi i commi 512, 515,
516 e (in quanto si riferisce ai predetti commi) 517, nella parte  in
cui  dovessero  risultare  direttamente  applicabili  alla  provincia
autonoma di Trento. 
    III.3. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 548,  549
per violazione dell'art. 9, n. 10 e dell'art. 79 dello statuto o,  se
piu' favorevole, dell'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  combinazione
con l'art. 10, legge cost.  n.  3  del  2001,  nonche'  dell'art.  2,
decreto legislativo n. 266/1992. 
    I commi 548 e 549 dell'art. 1, legge n. 208 del 2015  introducono
una disciplina analoga a quella teste' considerata a proposito  degli
acquisti  tramite  Consip  S.p.a.,  regolandola  tuttavia   in   modo
specifico nella materia degli approvvigionamenti sanitari. 
    In particolare, si dispone che «al fine di garantire la effettiva
realizzazione  degli  interventi  di  razionalizzazione  della  spesa
mediante aggregazione degli acquisti di beni e servizi», gli enti del
Servizio  sanitario  nazionale  sono  tenuti  «ad   approvvigionarsi,
relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario» (il
cui contenuto e' individuato con decreto del Presidente del Consiglio
dei  ministri),  «avvalendosi,  in  via  esclusiva,  delle   centrali
regionali di committenza di riferimento, ovvero della Consip  S.p.a.»
(cosi' il comma 548). 
    Al comma 549 viene dettato il regime operante nel caso in cui «le
centrali di committenza individuate sulla  base  del  comma  548  non
siano disponibili ovvero operative». Gli enti del Servizio  sanitario
nazionale debbono  «approvvigionarsi,  relativamente  alle  categorie
merceologiche del settore sanitario di cui al comma 548, avvalendosi,
in via esclusiva, delle centrali di committenza iscritte  nell'elenco
dei  soggetti  aggregatori,  di  cui  all'art.  9,   comma   1,   del
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89»: si sancisce peraltro (comma  549,
secondo  periodo)  che  in  simili  ipotesi  «spetta  alla   centrale
regionale di committenza di  riferimento  l'individuazione,  ai  fini
dell'approvvigionamento, di altra centrale di committenza». 
    Infine, la parte finale del comma (ossia il  suo  terzo  periodo)
dispone che «la violazione degli adempimenti  previsti  dal  presente
comma   costituisce   illecito   disciplinare   ed   e'   causa    di
responsabilita' per danno erariale». 
    La provincia autonoma  di  Trento  ritiene  che  le  disposizioni
appena  riassunte,  come  quelle  poc'anzi   impugnate,   non   siano
direttamente applicabili ad essa: cio', specificamente, in virtu' del
gia' evocato comma 992. Per  l'ipotesi  subordinata  in  cui  codesta
ecc.ma Corte dovesse ritenere le menzionate  norme  applicabili  alla
provincia, esse sono qui oggetto di impugnazione. 
    La materia sanitaria, come ricordato sopra, e' regolata dall'art.
9,  n.  10,  dello  statuto  e  dall'art.  117,  terzo  comma,  Cost.
(combinato con l'art. 10, legge cost. n. 3/2001), i  quali  prevedono
una competenza di carattere concorrente e vanno coordinati con l'art.
2 del decreto legislativo n. 266/1992. 
    Ora, e' evidente che quanto statuito dal legislatore statale  non
corrisponde a principio fondamentale, idoneo a  formare  limite  alla
potesta' legislativa concorrente delle regioni e  province  speciali,
ma equivale a stringente norma  di  dettaglio  -  connotata  peraltro
dall'automatica applicazione - che quindi confligge  con  l'autonomia
statutaria. 
    Si fa riferimento, in special modo, sia  alla  regola  stringente
del comma 548 - volta a rendere Consip S.p.a. e le centrali regionali
di committenza unico riferimento per l'approvvigionamento sanitario -
sia alla conseguente eccezione di cui al comma 549 - che prevede  una
minima   eccezione   relativa   all'indisponibilita'   dei   beni   e
comportante, peraltro,  l'obbligatorieta'  del  ricorso  ai  soggetti
aggregatori elencati con legge  statale  -  sia,  consequenzialmente,
alla statuizione della responsabilita' dirigenziale  ed  erariale  in
conseguenza della violazione delle predette norme. 
    Parimenti, l'assetto normativo risultante dai due commi impugnati
contrasta anche con l'autonomia statutaria in materia di finanza. 
    Specificamente, si e' gia' ricordato, riguardo alla normativa  in
materia di approvvigionamento in generale, che quand'anche  le  norme
impugnate riguardassero il coordinamento della finanza pubblica, esse
dovrebbero in ogni caso rispettare le condizioni poste  dall'art.  79
St. Inoltre, va richiamato  anche  quanto  gia'  sopra  osservato  in
relazione alla  circostanza  che  la  provincia  autonoma  di  Trento
finanzia la sanita' con risorse proprie, senza alcuna  partecipazione
al Fondo sanitario nazionale. 
    Dunque, anche qualora dovessero ritenersi applicabili  le  regole
proprie del coordinamento della finanza pubblica, sarebbe  necessario
mantenere  le  relative  disposizioni   nei   limiti   dei   principi
fondamentali fissati con  legge  dello  Stato,  tenendo  conto  della
specifica autonomia della finanza sanitaria provinciale.  Trattandosi
invece di norme di carattere puntuale, rigido e  autoapplicativo,  le
disposizioni dei commi 548 e 549 dell'art. 1, legge n. 208  del  2015
risultano costituzionalmente illegittime nell'ipotesi e  nella  parte
in cui essi dovessero essere  ritenuti  applicabili  alla  ricorrente
provincia. 
    III.4. Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 672, 675,
676 per violazione degli  articoli  8,  n.  1  e  79  dello  statuto,
dell'art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione  con  l'art.  10,
legge cost. n. 3 del 2001, e dell'art. 2 del decreto  legislativo  n.
266/1992. 
    I commi 672, 675 e 676 dell'art. 1 della legge n.  208  del  2015
recano  una  disciplina   tesa   a   diminuire   i   compensi   degli
amministratori e dei dipendenti di  societa'  a  controllo  pubblico.
Ancora una volta la provincia viene  solo  indirettamente  coinvolta,
tramite il riferimento al decreto legislativo n. 165 del 2001:  anche
in questo caso, dunque, l'impugnazione e' subordinata all'ipotesi che
esso  debba  trovare  applicazione  nei  confronti  della  ricorrente
provincia a causa dell'indiretto richiamo, nonostante la presenza del
comma 992, secondo il quale le disposizioni della legge  n.  208  del
2015 sono applicabili  nelle  regioni  a  statuto  speciale  e  nelle
province autonome di Trento e di Bolzano solo «compatibilmente con le
disposizioni  dei  rispettivi  statuti  e  le   relative   norme   di
attuazione,  anche  con  riferimento  alla  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3». 
    In particolare, l'art. 672 sostituisce il comma  primo  dell'art.
23-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011,  n.  201,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214,  in  materia  di
«Compensi per gli amministratori e per i  dipendenti  delle  societa'
controllate dalle pubbliche amministrazioni», prevedendo  che,  fermo
restando «quanto previsto dall'art. 19, comma 6, del decreto-legge 1°
luglio 2009, n. 78, convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  3
agosto 2009, n. 102» (il quale a sua volta dispone che «l'art.  2497,
primo comma, del codice civile, si interpreta nel senso che per  enti
si intendono i soggetti giuridici collettivi,  diversi  dallo  Stato,
che detengono la partecipazione  sociale  nell'ambito  della  propria
attivita' imprenditoriale ovvero per finalita' di natura economica  o
finanziaria»),  «con  decreto  del  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze [...] sentita  la  Conferenza  unificata  per  i  profili  di
competenza, previo parere delle commissioni parlamentari  competenti,
per  le  societa'  direttamente  o  indirettamente   controllate   da
amministrazioni dello Stato e dalle altre  amministrazioni  pubbliche
di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, [...]  sono  definiti  indicatori  dimensionali  quantitativi  e
qualitativi al fine  di  individuare  fino  a  cinque  fasce  per  la
classificazione delle suddette societa'» (cosi' il primo periodo  del
comma  672):  operazione,  questa,  volta   a   determinare   «,   in
proporzione, il limite dei compensi massimi al quale  i  consigli  di
amministrazione di dette societa' devono  fare  riferimento,  secondo
criteri  oggettivi  e  trasparenti,   per   la   determinazione   del
trattamento economico annuo  onnicomprensivo  da  corrispondere  agli
amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti, che non potra' comunque
eccedere il limite  massimo  di  euro  240.000  annui  al  lordo  dei
contributi previdenziali e assistenziali  e  degli  oneri  fiscali  a
carico del beneficiario, tenuto conto anche dei compensi  corrisposti
da altre pubbliche amministrazioni» (secondo periodo del comma 672). 
    Dal comma peraltro si dispone altresi' che «le societa' di cui al
primo  periodo  verificano  il  rispetto  del  limite   massimo   del
trattamento economico annuo onnicomprensivo dei propri amministratori
e dipendenti fissato con il decreto di cui al presente comma»  (terzo
periodo), facendo in ogni caso salve «le disposizioni  legislative  e
regolamentari che prevedono limiti ai  compensi  inferiori  a  quelli
previsti dal decreto di cui al presente comma» (quarto periodo). 
    Il comma 675 contiene  poi  numerosi  e  penetranti  obblighi  di
pubblicazione dei propri dati da parte  delle  «societa'  controllate
direttamente   o   indirettamente   dallo   Stato   e   dalle   altre
amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le quali sono tenute a  pubblicare
«entro trenta giorni dal conferimento di incarichi di collaborazione,
di consulenza o di incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali,
e per i  due  anni  successivi  alla  loro  cessazione»  le  seguenti
informazioni:,   «a)   gli   estremi   dell'atto   di    conferimento
dell'incarico, l'oggetto della prestazione, la ragione  dell'incarico
e la  durata;  b)  il  curriculum  vitae;  c)  i  compensi,  comunque
denominati, relativi al rapporto di consulenza o  di  collaborazione,
nonche' agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali; d) il
tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero
di partecipanti alla procedura» (cosi' il comma 675). 
    Il  comma  676,  infine,  prevede  che  «la  pubblicazione  delle
informazioni di cui al comma 675, relativamente ad  incarichi  per  i
quali e' previsto un compenso, e'  condizione  di  efficacia  per  il
pagamento stesso. In caso di  omessa  o  parziale  pubblicazione,  il
soggetto responsabile della  pubblicazione  ed  il  soggetto  che  ha
effettuato il pagamento sono soggetti ad una sanzione pari alla somma
corrisposta». 
    Anche  in  questo  caso  si  ripropongono,  ove  le  norme  siano
considerate applicabili alla provincia autonoma di Trento, le censure
gia' sopra evidenziate, ricadendosi ancora una  volta  nello  spettro
applicativo  dell'art.  8,  n.  1,  St.,  dell'art.  2  del   decreto
legislativo n. 266 del 1992,  nonche',  subordinatamente,  in  quello
dell'art. 79 St. in materia di finanza pubblica; o, qualora  ritenuto
piu' favorevole, il comma quarto dell'art. 117 Cost. 
    Le norme poste in materia sono infatti di  estremo  dettaglio,  e
non lasciano spazio ad alcuna ulteriore determinazione da parte della
ricorrente provincia. Al contrario - oltre all'automatismo  contenuto
nel comma 676 e all'obbligo del 675 - esse introducono addirittura un
potere normativo sulla provincia da parte del Ministero dell'economia
e delle finanze, privo di base costituzionale. 
    Codesta ecc.ma Corte, peraltro, si e' trovata a  decidere  in  un
caso analogo con sentenza n. 159 del 2008: e' pertanto opportuno,  in
questa sede, richiamarne gli estremi. 
    Nella specie si trattava di norme (contenute nella legge  n.  296
del  2006,  legge  finanziaria   per   il   2007)   riguardanti   gli
amministratori  di  societa'  partecipate  e,  in   particolare,   la
determinazione del loro compenso e del loro numero massimo. 
    Anche in quel  caso,  peraltro,  i  parametri  -  invocati  dalla
provincia autonoma di Bolzano - erano l'art. 8,  n.  1  e  l'art.  79
dello statuto. 
    Ebbene, codesta ecc.ma Corte ebbe a  dichiarare  le  norme  della
finanziaria (e segnatamente  i  commi  725,  726,  727,  728  e  734)
costituzionalmente illegittime  nella  parte  in  cui  esse  venivano
applicate alla provincia autonoma, poiche' risultavano di  «carattere
analitico  e  molto  dettagliato»  in   violazione   della   potesta'
legislativa della provincia, nonche' della sua autonomia  finanziaria
(la sentenza, inoltre,  escludeva  peraltro  recisamente  l'afferenza
della materia all'ordinamento civile). 
    Com'e' facile notare, le norme dichiarate incostituzionali  erano
del tutto simili a quelle oggi impugnate trattandosi,  in  quel  caso
come in questo, di disposizioni volte a  normare  dettagliatamente  e
autoapplicativamente  la  disciplina   degli   amministratori   delle
societa' a controllo pubblico. 
    Le norme qui censurate  non  riguardano  peraltro  esclusivamente
agli amministratori, ma anche i dirigenti e i dipendenti:  la  rigida
classificazione affidata ad un decreto di incerta natura da  un  lato
impedisce alla provincia autonoma una  gestione  delle  sue  societa'
pubbliche anche con criteri  retributivi  incentivanti  (con  lesione
della autonomia organizzativa ex art. 8, numero  1,  dello  statuto);
dall'altro, se intesa come  misura  di  coordinamento  della  finanza
pubblica, e' lesiva dell'art. 79, comma 4, dello  statuto,  sia  come
ulteriore intervento non ammesso, sia sotto il profilo  dell'utilizzo
di una fonte non legislativa (la  disposizione  statutaria,  infatti,
prevede  come  possibile  fonte  di  vincoli   soltanto   «specifiche
disposizioni legislative dello Stato»). 
    In  coerenza  alla  giurisprudenza  di  questa  Corte,  pertanto,
risultano  costituzionalmente  illegittimi  i  commi  672,  675,  676
dell'art. 1, legge n. 208 del 2015, nella parte in cui essi dovessero
essere ritenuti applicabili alla provincia autonoma di Trento. 
    III.5. Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi  469,
secondo periodo, e 470 per violazione degli articoli 79, 104, 8, n. 1
dello statuto o, se piu' favorevole,  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost. in combinazione con l'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001, e con
l'art. 2 del decreto legislativo n. 266/1992. 
    I commi 469 e 470 incidono sull'allocazione dei costi riguardanti
gli oneri  per  i  rinnovi  contrattuali,  disponendo  che,  «per  il
personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici
diversi  dall'amministrazione  statale,  gli  oneri  per  i   rinnovi
contrattuali per il  triennio  2016-2018,  nonche'  quelli  derivanti
dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di  cui
all'art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165»,
ossia i professori e i ricercatori universitari, «sono posti a carico
dei rispettivi bilanci»: cio' in coerenza quanto disposto  dal  comma
466, che  determina  l'ammontare  dei  costi  relativi  al  personale
statale. 
    I miglioramenti, peraltro, sono addossati a tali  amministrazioni
tramite un richiamo al dettato dall'art. 48,  comma  2,  del  decreto
legislativo n. 165/2001, il quale dispone, per quanto qui  interessa,
che per le amministrazioni di cui all'art.  41,  comma  2  (ove  sono
menzionate le regioni in genere), o per  «le  regioni»  e  le  «altre
amministrazioni» di cui all'art. 40, comma 3-quinquies  a  sua  volta
richiamato dal predetto art. 48, comma 2, del medesimo decreto -  fra
le quali potenzialmente  anche  le  province  autonome  -  gli  oneri
derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono a carico dei
rispettivi bilanci, fermo restando che per gli incrementi retributivi
relativi al rinnovo delle amministrazioni  regionali,  locali  e  del
Servizio sanitario nazionale sono definiti dal Governo «nel  rispetto
dei vincoli di bilancio,  del  patto  di  stabilita'  e  di  analoghi
strumenti di contenimento della spesa, previa  consultazione  con  le
rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie». 
    La  disposizione  del  comma  469  prosegue  al  secondo  periodo
affermando  che  «con  decreto  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri, su proposta  del  Ministro  per  la  semplificazione  e  la
pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e
delle finanze, da emanare entro trenta giorni dalla data  di  entrata
in  vigore  della  presente  legge,  sono  fissati   i   criteri   di
determinazione dei predetti oneri in coerenza con quanto previsto dal
comma 466». 
    L'art. 470, infine, dispone che quanto sancito dall'art.  469  si
applica anche al personale convenzionato con  il  Servizio  sanitario
nazionale. 
    Anche in questo caso, la provincia autonoma di Trento ritiene che
le norme in parola non la riguardino, nonostante il  tenore  testuale
che si riferisce a «amministrazioni,  istituzioni  ed  enti  pubblici
diversi dall'amministrazione statale». Infatti, il sistema di  rinvii
operato dal primo periodo  della  disposizione  in  parola  comprende
soltanto le regioni e non menziona mai le province autonome (o  anche
solo le regioni a  statuto  speciale).  Inoltre,  come  per  i  commi
precedenti, la clausola di salvaguardia di cui al comma 992 induce  a
escludere la provincia autonoma di Trento dallo  spettro  applicativo
della norma; in subordine, tuttavia, si impugnano  i  commi  indicati
nella misura in cui essi risultassero, nonostante tale  clausola,  ad
essa applicabile. 
    Risulterebbe violato l'art.  79,  comma  2,  il  quale  prescrive
l'utilizzo della procedura di cui all'art. 104 dello statuto  per  la
modifica delle modalita' con le quali la provincia «concorre [...] al
conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza   pubblica»,   principio
ribadito nella sua fondamentale portata dalla recente sentenza n.  19
del 2015. 
    In violazione del metodo pattizio, infatti, il comma 469, secondo
periodo,  prevede  l'unilaterale  decisione,   nelle   determinazioni
relative all'assunzione degli oneri, del  Presidente  del  Consiglio,
del Ministro per la semplificazione e del Ministero  dell'economia  e
delle finanze. 
    Ove poi si considerasse il decreto interministeriale sugli  oneri
per i rinnovi contrattuali come misura di coordinamento della finanza
pubblica sarebbero violati anche l'art. 79, comma 4,  dello  statuto,
che sancisce l'inapplicabilita', nei confronti  della  provincia,  di
disposizioni  statali  che  prevedono  obblighi,  oneri  o   concorsi
comunque denominati, e che affida alla provincia di  provvedere  alle
finalita'  di  coordinamento  della  finanza  pubblica  contenute  in
specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria
legislazione ai principi costituenti limiti ex articoli 4 e  5  dello
statuto, con le forme dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266  del
1992. La richiamata disposizione statutaria impedisce  ad  una  fonte
statale,  per  di  piu'  secondaria,  di  disporre  una   misura   di
coordinamento riservata alla competenza della provincia. 
    Per la parte poi in cui tale regolazione  non  fosse  dettata  da
ragioni di coordinamento della finanza pubblica, la materia  dovrebbe
farsi  ricadere  nell'art.  8,   n.   1   dello   statuto,   relativa
all'organizzazione e al personale, la  cui  regolazione  e'  affidata
alla potesta' primaria della provincia. 
    In relazione a tale profilo, non si puo'  che  richiamare  quanto
gia'   detto   in   merito   all'illegittimita'    di    disposizioni
autoapplicative e invasive della sfera  riservata  alla  provincia  -
come quella in  parola,  che  arriva  a  imporre  al  Presidente  del
Consiglio di emanare le norme senza neppure consultare le autonomie -
in spregio, oltre che ai canoni gia' richiamati, anche all'art. 2 del
decreto legislativo  n.  266  del  1992  (o,  laddove  ritenuto  piu'
favorevole, all'art. 117, quarto comma, Cost.). 
    Discorso parzialmente differente puo' essere  fatto  a  proposito
del comma 470. La provincia  autonoma  di  Trento  ritiene  che  esso
risulti incostituzionale per contrasto con l'art. 79 St., esattamente
come il comma 469; ove tuttavia si dovesse  ritenere  che  esso,  pur
riproducendo per richiamo  il  contenuto  del  comma  precedente,  ne
modifichi l'afferenza per materia  trasponendo  le  disposizioni  nel
campo sanitario, varrebbero le seguenti ulteriori considerazioni. 
    Come  si  e'  gia'  avuto  occasione  di  specificare,   l'ambito
sanitario e' coperto, per quanto riguarda la  provincia  autonoma  di
Trento, da alcune specifiche nonne: l'art. 9, n. 10 dello  statuto  e
l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto richiamato come  disciplina
piu' favorevole in  virtu'  dell'art.  10,  legge  cost.  n.  3/2001,
affiancati dall'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992. 
    Si e'  anche  gia'  ricordato  che,  nelle  materie  di  potesta'
concorrente - quale appunto quella della  sanita'  -  il  legislatore
statale  altro  non  puo'  fare  che  porre  principi   fondamentali,
attendendo  peraltro  l'attuazione  degli   stessi   da   parte   del
legislatore provinciale: cosa  che  puo'  agevolmente  escludersi  da
quanto sin qui considerato a proposito del secondo periodo del  comma
469,  il  quale  non  solo  comporta  un'invasione   della   potesta'
provinciale,  ma  apre  la  strada  a  una  normativa  di   dettaglio
determinata dal Presidente del Consiglio del tutto incompatibile  con
un ambito di discrezionalita' lasciato  alla  provincia.  Cio'  -  va
conclusivamente ricordato - risulta tanto piu' vero a  ricordare  che
la  spesa  sanitaria  provinciale  e'  integralmente  sostenuta,  per
l'appunto, dalla provincia autonoma. 
    Per tutte le ragioni  premesse,  risulta  anche  l'illegittimita'
costituzionale dei commi 469, secondo periodo, e 470, nell'ipotesi  e
nella parte in cui essi  sono  ritenuti  applicabili  alla  provincia
autonoma di Trento. 
    III.6 Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 505 e  510
per violazione degli articoli 8, n. 1 e 79 dello statuto, o  se  piu'
favorevole, dell'art. 117, quarto comma, Cost., in  combinazione  con
l'art. 10, legge cost. n. 3 del 2001, e degli  articoli  2  e  4  del
decreto legislativo n. 266/1992. 
    Questi  commi  riguardano  ancora  una  volta   il   sistema   di
approvvigionamento tramite Consip S.p.a. 
    In particolare, al comma 505 si dispone che, «al fine di favorire
la  trasparenza,  l'efficienza   e   la   funzionalita'   dell'azione
amministrativa» le amministrazioni debbano approvare «entro  il  mese
di  ottobre  di  ciascun  anno,  il   programma   biennale   e   suoi
aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi di  importo
unitario stimato superiore a un milione di euro»  (comma  505,  primo
periodo). Il primo - ossia  il  programma  biennale  -  peraltro,  e'
«predisposto sulla base dei fabbisogni di beni e servizi»  e  «indica
le  prestazioni  oggetto   dell'acquisizione,   la   quantita',   ove
disponibile, il numero di riferimento della nomenclatura, le relative
tempistiche  (secondo  periodo),  laddove  «l'aggiornamento   annuale
indica  le  risorse  finanziarie  relative   a   ciascun   fabbisogno
quantitativo  degli  acquisti  per  l'anno  di  riferimento»   (terzo
periodo). 
    La norma prosegue sancendo  che  «il  programma  biennale  e  gli
aggiornamenti sono comunicati alle strutture e agli  uffici  preposti
al  controllo  di  gestione,  nonche'  pubblicati  sul  profilo   del
committente  dell'amministrazione  e  sul  sito  informatico   presso
l'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e
forniture  presso  l'Autorita'  nazionale   anticorruzione»   (quarto
periodo) e che «la violazione delle previsioni di cui  ai  precedenti
periodi e' valutabile ai fini della responsabilita' amministrativa  e
disciplinare dei dirigenti, nonche'  ai  fini  dell'attribuzione  del
trattamento accessorio collegato alla performance» (quinto periodo). 
    Una specifica  disposizione  precisa  che  «le  acquisizioni  non
comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti non possono  ricevere
alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche  amministrazioni»
(sesto periodo), pur se «sono fatte salve le acquisizioni imposte  da
eventi imprevedibili o calamitosi, nonche' le acquisizioni dipendenti
da sopravvenute  disposizioni  di  legge  o  regolamentari»  (settimo
periodo). 
    Si prevede inoltre un'ulteriore trasmissione «al  Tavolo  tecnico
dei soggetti di cui all'art. 9, comma 2, del decreto-legge 24  aprile
2014, n. 66, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  23  giugno
2014, n. 89, che li utilizza ai fini dello svolgimento dei compiti  e
delle  attivita'  ad  esso  attribuiti»  (ottavo  periodo),   nonche'
un'ulteriore pubblicazione - con le stesse modalita' della prima - di
«tutti i contratti stipulati in esecuzione del programma  biennale  e
suoi  aggiornamenti,  fatta  salva  la  tutela   delle   informazioni
riservate di proprieta' del committente o del  fornitore  di  beni  e
servizi» (nono periodo), anche per quanto riguarda  i  «contratti  in
corso alla data di entrata in vigore della presente legge  aventi  ad
oggetto la fornitura alle amministrazioni pubbliche di beni e servizi
di importo unitario superiore a un milione di euro» (decimo periodo),
pur restando «fermo quanto previsto dall'art. 271 del regolamento  di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207
[che da'  ulteriori  indicazioni  su  «Programmazione  dell'attivita'
contrattuale per l'acquisizione di beni  e  servizi»],  limitatamente
agli acquisti di beni e servizi di importo unitario stimato inferiore
a un milione di euro». 
    Parallelamente, il comma  510  dispone  che  «le  amministrazioni
pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni  di
cui all'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n.  488,  stipulate  da
Consip S.p.a., ovvero dalle  centrali  di  committenza  regionali»  -
ossia le cd. convenzioni-quadro  -  «possono  procedere  ad  acquisti
autonomi  esclusivamente  a  seguito   di   apposita   autorizzazione
specificamente motivata resa dall'organo di vertice amministrativo  e
trasmessa al competente ufficio della Corte  dei  conti,  qualora  il
bene  o  il  servizio  oggetto  di  convenzione  non  sia  idoneo  al
soddisfacimento dello specifico fabbisogno  dell'amministrazione  per
mancanza di caratteristiche essenziali». 
    In quanto ritenuta applicabile alla provincia autonoma di Trento,
escludendo quindi che a essa faccia  riferimento  il  comma  992,  la
norma espone il fianco a plurimi profili di illegittimita'. 
    Ferme restando, anche in questo caso, le considerazioni fatte  in
merito alla violazione dell'art. 8, n. 1, dell'art. 79 dello statuto,
nonche' dell'art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992 -  o,  in
quanto maggiormente favorevoli, i commi quarto e terzo dell'art.  117
Cost. -  giacche'  le  norme  risultano  dettagliate  e  direttamente
applicabili sia per quanto riguarda  gli  oneri  di  comunicazione  e
pubblicazione, sia per l'istituzione della responsabilita' in capo ai
dirigenti, sia per l'esclusione di modalita' di procedere alternative
o diverse da quelle statuite dalla norma, sia per l'obbligo di previa
autorizzazione  (ancora  una  volta  concessa  da   un   non   meglio
specificato «vertice amministrativo»)  e  per  la  restrizione  dello
spazio di manovra della provincia al solo caso di mancanza del bene. 
    In  ogni   caso   specificamente   illegittima   per   violazione
dell'autonomia organizzativa della provincia autonoma (art. 8,  n.  1
dello statuto o art. 117, quarto comma,  Cost.),  come  costantemente
riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale,  e'  la  norma  che
individua  in  modo   preciso   quale   organo   dell'amministrazione
provinciale sia chiamato a esercitare il potere autorizzatorio  (cfr.
da ultimo, sentenza n. 39 del 2014, nonche' n. 22 del  2012,  n.  201
del 2008 e n. 387 del 2007). 
    Risultano percio' costituzionalmente illegittimi i  commi  505  e
510 dell'art. 1, legge n. 208/2015, nell'ipotesi e nella parte in cui
risultano applicabili alla provincia autonoma di Trento.